Ero Daria per un sacco di buone ragioni, non ultima il bisogno di occultare dietro il giaccone verde una certa naturale propensione alla lacrima facile.
C’è poco da fare: la minzione oculare si attiva nelle situazioni più disparate, quasi sempre generando un totale imbarazzo in coloro che soffrono di questa particolare patologia emotiva.
Il comosso seriale si ritrova la cornea pervasa da abbondante liquido lacrimale senza preavviso e non riesce a controllare e men che meno porre rimedio alcuno al fenomeno. Pur non esistendo validi studi clinici intorno a questo disturbo emozionale, ci sono alcune circostanze riconoscibili in cui la sindrome si manifesta con maggiore frequenza.
L’ascolto di una canzone. Non necessariamente deve essere un motivo strappalacrime, potresti tranquillamente non capire una mazza del testo e metterti a piangere a dirotto nei casi in cui (i) sia la melodia stessa ad essere armonicamente struggente; (ii) la canzone sia stata associata ad una scena cinematografica particolarmente tormentata; (iii) la canzone abbia fatto da sottofondo ad una tappa fondamentale della tua educazione sentimentale o dell’estrazione di un dente del giudizio. Personalmente ho passato anni a piangere ascoltando Buonanotte Fiorellino, una volta appreso l’evento che l’aveva ispirata.
La visione di un film. Un grande classico: l’emotività da poltrona. Molto catartica. L’unico vero inconveniente è che spesso la maggiore carica emotiva di una pellicola si concentra nella scena finale e subito dopo si riaccendono le luci e tu devi fare i conti con lo sguardo impietosito del tuo vicino di poltrona. Io non faccio testo, alcuni film ho dovuto proprio smettere di guardarli per disperazione, tipo un arbitro che sospende la partita per impraticabilità del campo durante un acquazzone esagerato. Comunque non credo che molti esseri umani siano riusciti ad arrivare alla fine di The Tree of Life senza battere ciglio.
Le partenze. Noi produttori di lucciconi sovrannumerari piangiamo ad ogni partenza. Puoi essere quello che parte, quello che rimane, quello che torna, quello che vende i panini a bordo strada, un passante occasionale che assiste ad un saluto sulla banchina in stazione. Puoi essere in procinto di andare sei anni in Burkina Faso o due giorni a Roncobilaccio: un distacco superiore alle otto ore merita almeno l’imbrattamento di un paio di pacchetti di Kleenex.
La telefonata di un amico lontano. Quando dall’altra parte del ricevitore senti la voce sincopata del tuo sodale in trasferta da mesi in Brasile, hai un bel da fare a celare la commozione dietro ad un sorriso a quarantaquattro denti. Inutile sforzarsi a spergiurare il contrario: stai miseramente singhiozzando di commozione transoceanica.
Le feste di fine anno. Sono le circostanze in assoluto peggiori. Dei ferini addii nascosti dietro apparentemente innocue recite infantili. Giuro che gli anni scorsi ho pianto ingiustificatamente come una deficiente per l’addio di tutti i compagni cinquenni di Mademoiselle C e Signorina A in partenza per le elementari. Quest’anno che le diplomate saranno loro, magari prima mi drogo per sicurezza.
Post fantastico!! Mi ci rivedo un sacco! Fino a qualche anno fa ero una tutta d’un pezzo, ma ultimamente ho la lacrimuccia facile! Specie per film e “ultimi giorni” vari ed eventuali. Per non parlare delle canzoni che risvegliano vecchi ricordi in autoradio mentre stai guidando!!
Roba che al semaforo la gente mi guarda male!!;)
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W la lacrima libera!
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più lacrime per tutti! 🙂
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Cara…se ti dicessi che ho pianto a leggere il tuo post? Immaginando le bimbe che salutano per andare alle elementari?
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ora lo posso dire, essendoci passata: è stato un disastro (ho pianto per giorni) 🙂
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