E dimmi che non vuoi morire

Non appena Miss T sente il clic della cintura di sicurezza del suo seggiolino, le scatta un automatismo per il quale comincia a lanciare insistenti gridolini (“Mu-c-ka! Mu-c-ka” con una doppia “c” dura consecutiva, fonema sconosciuto alla lingua italiana) all’indirizzo dell’autoradio, pretendendone l’istantanea accensione.
Poiché il ménage domestico prevede che i viaggi lunghi si facciano con “Papà-bianca”, cioè il sette-posti da gelataio del signor Pàpici, tutto il temibile corredo di cd per bambini vive lì. Nella mia “Mamma-gialla” – la Pandina di servizio-, invece, si fronteggiano le richieste di Miss T solo con la radio. Putroppo o magari per fortuna, non hanno ancora lanciato una stazione radio tematica per giovani orecchie (come invece succede per la tele), per cui, per trasformare l’agitazione delle gambette di Miss T da insofferenza a danza, si cerca quel che c’è. Ho recentemente scoperto che a Miss T piace radio nostalgia, un polpettone melenso di testuali “Emozioni in FM”. L’altra sera, sotto uno scroscio di pioggia autunnale, a pochi isolati da casa, le emozioni in fm prevedevano la baritonale “E dimmi che non vuoi morire”. Ovviamente ho preso a cantarla anche io, con un trasporto che non è passato inosservato ai passeggeri sul sedile posteriore.
“Mamma, dimmi anche tu che non vuoi morire”, mi lancia Mademoiselle C, mentre lasciamo Mamma-gialla silenziosa sotto casa e percorriamo pochi metri tutte e quattro strette sotto il mio ombrello a girasole.
“Io non voglio che diventi nonna, così non muori”, mi dice, percorrendo un sillogismo zoppo, ma interessante.
“No, dai, non è poi così male” provo a sdrammatizzare io, senza la convinzione necessaria ” e poi è talmente lontano che possiamo non pensarci, ora”.
“Mamma, comunque, io non voglio che tu muori”, conclude lapidaria, facendosi un doveroso sconto sul congiuntivo.

Tenera, la mia Mademoiselle C, lo so cosa ti si apre nello stomaco quando pensi a questo lontano evento. Ti si apre una voragine, per fortuna ci pensi poco. Fortuna ci penso poco anche io.
Quando la morte è arrivata a prendersi quella nonna A, di cui Signorina A ha adottato il nome, avevo quindici anni. Lei aveva sempre vissuto con noi fino ad allora e quando ho cominciato a pensare alla morte, ovviamente pensavo alla sua, per l’ordine con cui la vita ci aveva messi al mondo. Sono passati vent’anni la settimana scorsa da quel giorno in cui la morte è arrivata a casa nostra a stabilire con la solita scarsa delicatezza l’ordine delle cose. Di lei mi ricordo le cose che ho ricordato in questi vent’anni, altre sono chiuse chissà dove. Ricordo la voce in farsetto mentre intonava i canti in chiesa, ricordo il polso ossuto che sfregava sulla mia ulna quando passeggiavamo a braccetto, ricordo un po’ meno di quanto vorrei le favole che mi raccontava cucendo mentre i miei anticorpi gestivano il morbillo, ricordo la sua risata, ricordo il profumo di chiuso della sua casa in viasangiovanniboscotrè, ricordo il tocco delle sue nocche sul muro, quando bussava perché andassi a tirare giù le serrande per il riposino post-prandiale, ricordo le regole del “partitino” a scopa quindici, dopo cena. Sono passati vent’anni da quando ne avevo quindici. Dei giorni della sua morte, ricordo di essermi sentita completamente stranita nel percorrere i pochi isolati da casa alla chiesa del funerale. A fianco dei vent’anni di mio fratello, solo lui, io e il nostro essere straniti. Più di tutto non ho mai dimenticato il dolore stranamente acuto del passare davanti alla vetrina del macellaio, andando al funerale. La gente faceva la spesa. Io, un passo dopo l’altro, lentamente li guardavo. Avrei voluto entrare, spaccare la vetrina, urlare. C’ero stata con lei, pochi giorni prima e adesso stavo andando al suo funerale. E quelli cosa facevano? Continuavano ad andare dal macellaio come niente fosse successo? L’affronto peggiore, quando hai quindici anni: la vita che va avanti. Che, poi, alla fine, invece è l’unico vero modo per. Cioè non so per cosa, ma mi sembra un buon modo per. Ecco.

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16 pensieri su “E dimmi che non vuoi morire

  1. È l’unico modo per. Ma le nostre nonne rimarranno vive nei nostri ricordi per sempre. Io mi ritrovo almeno una volta al giorno con un déjà-vu in cui c’è lei, o un ricordo improvviso che mi riempie di nostalgia. Bellissimo e commovente ciò che hai scritto.

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  2. Stupendo post davvero nei pensieri, nel come ce li hai trasmessi…non ho avuto la fortuna di godermi mai una nonna…i miei figli sì, e attraverso di loro sto capendo cosa possa rappresentare un simile bagaglio di affetti…Un abbraccio per questo ricordo che ci hai regalato

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  3. Mi hai fatto venire in mente una discussione di tanti anni fa. Mia figlia seienne a colloquio con la nonna. Nonna quando le persone muoiono che succede? Vanno in paradiso. Anche tu? Be’ sì anche io quando sarà. E anche mamma e papà? Sì anche loro, tra tanto tempo però. Tutti in paradiso? Sì, certo. Ma allora poi, in città chi ci rimane? 🙂

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  4. Grazie per averlo condiviso. Alice, la mia “grande” di otto anni è ossessionata dalla morte, le prende un magone e uno sconforto inconsolabili. E per fortuna non sa ancora cos’è, o per lo meno non ancora da vicino. Io lo scoprii ad una settimana dai miei 16 anni. Andai a dormire e mi svegliai orfana di padre. Ci sono voluti 18 anni per capirlo, per essere serena pensando a lui. Ed ora vorrei poter donare quella serenità ad Alice, ed invece non posso….

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