Pulire non è sempre la migliore delle idee

Una recente new-entry della nostra routine serale prevede che, Mademoiselle C e Signorina A già imbozzolate sotto le coperte (e Miss T girovagante per casa con in mano una di quelle licenze comportamentali che il lassismo genitoriale regala ai terzogeniti), alla lettura di un libro segua un breve momento non-fiction. Racconti di vita vissuta.
Comincia con uno speranzoso “Mamma raccontaci una tua avventura” e in genere finisce con una mia qualche maldestra disavventura.
Così su due piedi, non è facile trovare interessanti spunti di vita vissuta, almeno non è facile per me, che magari avrò avuto un’esistenza terribilmente ordinaria o forse devo allenarmi meglio alla palestra delle memorabilia. Che poi in questo periodo siamo pure alle prese con la lettura di un’allucinata Alice nel paese delle meraviglie e non è affatto facile competere in fatto di straordinarietà.
Fatto sta che ieri sera m’è venuto in testa di raccontare al trio di quella volta che avevo deciso di pulire la tastiera del portatile.
Stavo in Olanda per un po’ di mesi durante il dottorato. Avevo preso una stanza in un enorme palazzone di oltre quindici piani. Un alveare di studenti da tutto il mondo in mezzo ad una enorme pianura di casette monofamiliari. Una schifezza piuttosto immonda, diciamocelo.
Insomma, condividevo alcuni spazi e alcune cose con altri, come succede in questi casi. Era il tempo in cui- antesignani del Coinquilino di Merda– avevi a che fare col podista cinese che teneva le scarpe da corsa nel vostro freezer comune per abbatterne la carica batterica.
La ragione per cui a suo tempo ho scelto come meta la grigia landa dei bulbi era legata al mio lavoro di allora e attuale che – snodo importante del racconto serale, che ho faticato a presentare in forma digeribile al trio- ruota intorno ad un gas serra, il protossido di azoto, elemento -quest’ultimo- con simbolo chimico N. Tre anni di dottorato intorno alla lettera enne.
Insomma, ecco che un sabato mattina, in preda a uno dei più classici raptus igienizzatori, decido di pulire la mia celletta di alveare. Per farlo, mi procuro l’ambitissimo bidone aspiratutto del corridoio, che serve da tempo immemore l’intero tredicesimo piano.

Mi metto all’opera.

Sotto il letto, dietro l’armadio, intorno alle valigie vuote. Aspiro ogni singolo acaro. Tutto procede per il meglio fino a quando l’occhio non mi cade sul portatile aperto. Secondo un noto teorema per il quale le idee malsane vanno più veloci del pacioso buon senso, decido in un attimo di pulire anche la tastiera. Rivolgo il bocchettone del bidone aspiratutto verso l’ignaro computer ed ecco che – glom!- lui si fagocita un tasto. Cado subito preda del panico, e mentre mi do dell’idiota- stacco la spinta del bidone. Poi valuto il da farsi. La tastiera sembra un seienne sdentato, manca proprio un tastino lì in mezzo. Non ho la lucidità per capire quale sia il pezzo mancante, ma so che oltre che monco, il portatile è anche abbastanza orribile. L’altra cosa che mi è piuttosto chiara è che sono una cretina.

L’unica cosa da fare a questo punto è aprire il bidone. Il problema è che l’aggeggio ha una capienza interna di almeno cinquanta litri e, a giudicare dallo spettacolo vomitevole che mi appare appena lo apro, non viene svuotato da almeno cinquant’anni. Cinquant’anni di coinquilini di merda, tra l’altro.
Mi tuffo alla ricerca del tasto perduto, provocando la fuoriuscita di cinquanta litri e cinquant’anni di polvere, capelli, acari, epidermidi desquamate, unghie, peli del naso e altri innominabili rifiuti organici. A un certo punto, come per miracolo, ecco che compare il tasto perduto, impigliato in un groviglio internazionale e intergenerazionale di capelli e polvere. Lo estraggo con le unghie completamente nere di cinquant’anni di sudiciudine.
Indovinate un po’ che tasto era?

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