Generazione di incastrati

Non avere un lavoro né fisso né riconosciuto come vero ha l’indubitabile vantaggio di costringerti a intervalli regolari a fantasticare sulle nuove vie che potrebbe prendere la tua vita professionale.

Superato l’inevitabile disagio dovuto alla preoccupazione di una potenziale mancanza di reddito, l’esercizio ha alcuni indubitabili vantaggi.

Ti porta a fare i conti con quello che sai fare, ma soprattutto con quello che desidereresti fare.
In un mondo in cui non c’è lavoro e non c’è nessuno che bussa alla tua porta per offrirti niente, la cosa che ci rimane è la libertà di riprendere contatto coi propri sogni, ventre a ventre.

A mio padre neolaureato fioccarono in buca decine di offerte di lavoro, tra cui non gli toccò che l’imbarazzo della scelta. Altri tempi.

A mia madre neolaureata non toccò che fare un paio d’anni di gavetta in una scuola privata, per approdare ad una cattedra a tempo indeterminato a 25 anni di età. Altri tempi.

A più di dodici anni dalla laurea e quasi nove dal dottorato, con in più una specie di master in tasca caso mai mi ci dovessi soffiare il naso, io campo a contratti da parasubordinato a tempo determinato che- sia detto per dovere di cronaca- sono persino grasso che cola nel mondo che bazzico.

Tempi sfigati, tempi in cui ci sente incastrati. Tempi in cui chi ha un contratto a tempo indeterminato è quello, sì, fortunato, ma anche quello che più difficilmente può mettersi a sindacare sulla rispondenza del suo mestiere alle sue aspirazioni. Come se non ci si potesse permettere di sperare di più.

Alla lunga se non sei più che solido emotivamente, la tua autostima professionale può risultare erosa, goccia dopo goccia, sia nel caso tu non sia che un trasparente parasubordinato sia che tu sia imprigionato in un lavoro che non ti piace e il tempo indeterminato suona più che altro come una condanna.

Tocca perciò fare periodici voli di fantasia, percorsi a ritroso alla ricerca della voglia di diventare qualcosa di bello, di soddisfacente.

Alleverò capre, aprirò una libreria, scriverò un romanzo, imparerò a cucire, insegnerò alla scuola dell’infanzia o alla primaria, mi dedicherò all’educazione ambientale. Non basta una vita per contenere tutto quel che voglio diventare, tutto sta nel cominciare, ché il peggior torto che ci han fatto, a noi generazione incastrata, è quello di farci credere che nulla si può cambiare.

31 pensieri su “Generazione di incastrati

  1. E come darti torto? Bisogna sempre ricordarsi che si lavora per vivere e non si vive per lavorare! Come hai scritto tu, chi ha la fortuna come me, di avere un posto fisso, non può andare troppo per il sottile a recriminare la lontananza tra questo lavoro e le sue aspirazioni. E comunque, alle brutte, un po’ d latte di capra mettimelo da parte va!

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  2. Mi sono laureata poco prima di te, nel 2001 per la precisione, e la gente all’epoca era “sconvolta” per il fatto che non mi fosse sufficiente stare sul divano ad aspettare le telefonate delle aziende interessate al mio profilo, ma dovevo rispondere alle inserzioni sui giornali e mandare candidature spontanee alle quali, nella migliore delle ipotesi, ricevevo, dopo mesi una risposta del tipo “per il momento non siamo interessati, ma la terremo in considerazione” per poi buttare certamente la mia lettera nel tritarifiuti. Almeno oggi c’è il vantaggio di risparmiare i soldi del francobollo e il toner per stampare la lettera.
    Con una laurea in economia alla Bocconi, ho lavorato per 2 anni come addetto alle rassegne stampa (=impaginare gli articoli dei giornali, scansionare i ritagli e cose simili) perché hanno apprezzato la mia velocità nell’utilizzare il mouse. Beh, grande soddisfazione direi…
    Il primo lavoro in linea con il mio percorso di studi (anche se il realtà mi sono specializzata in marketing con tesi sull’organizzazione degli eventi musicali), l’ho trovato nel 2006 ed è per l’azienda, una finanziaria, per la quale lavoro ancora oggi.
    E continuo a considerarmi fortunata, anche quando tutti i colleghi si lamentano dei capi, degli stipendi e dell’ambiente di lavoro.

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  3. Che dire… mi dai speranza ora che sono disoccupata dopo tanti anni di lavoro a tempo indeterminato sempre per la stessa azienda. Una fortuna sotto molti punti di vista, ma mi pareva di invecchiare là, a 20 come a 60 anni facendo sempre le stesse cose. Ora la vita ha preso una piega inaspettata e il domani… chissà. È bello, in un certo senso, non saperlo.

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  4. allora…tre proposte: 1. continua a scrivere perché tu sei veramente bravissima e chissà che qualche cosa non esca fuori. 2. ridefinisci la tua laurea in termini di “alimentazione”, per adesso va forte. 3. Educazione ambientale…la mia grande passione…1/3 della mia vita: mi piacerebbe tanto raccontarti di un metodo che ho incontrato quasi vent’anni fa e che da questo punto di vista mi ha cambiato la vita…

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          1. ti do qualche link italiano di associazioni che utilizzano questo metodo: http://www.consorziogionanexus.it/ (questo è il mio consorzio); http://www.alternatura.it/ (è una cooperativa sarda molto attiva); http://www.associazioneinea.it/ (è un’associazione di Latina che proprio nei prossimi giorni propone un seminario sul metodo nel Parco d’Abruzzo. Questo buffo signore barbuto è l’inventore del metodo e dentro ci trovi anche la bibliografia: https://en.wikipedia.org/wiki/Steve_Van_Matre. E per finire questo è il sito dell’associazione in Inghilterra: http://www.eartheducation.org.uk/

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  5. Vero, io di solito la vedo da un’altra prospettiva però: il nostro decennio di nascita ha prodotto aspettative che – per chi come me è stato cresciuto dai nonni – è sempre parso un po’ ammantato d’irrealtà.
    La generazione precedente ancora non aveva dovuto neanche porsi il problema, il lavoro era funzionale al sopravvivere e a dare un futuro migliore alla propria prole, non era così tanto volto al concetto della realizzazione personale.
    A seconda degli anni da cui fai partire il punto di vista, le considerazioni sono molto diverse.

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  6. Condivido il finale del commento precedente: “A seconda degli anni da cui fai partire il punto di vista, le considerazioni sono molto diverse”.
    La generazione dopo la fine della guerra ha cercato solo di sopravvivere, mancava tutto. In seguito, solo in seguito, c’è stato il cosiddetto boom, ma lo sappiamo adesso, a posteriori. Allora, chi c’era dentro, continuava a vivere l’ansia di sopravvivere. È con gli ANNI ’80, quella generazione che arrivava fresca, fresca che ha incominciato a perseguire il “realizzarsi”. Il resto è storia nota.
    La conclusione? Forse, dico forse, non amo le certezze, chi affronta i momenti odierni è in condizioni analoghe a quelle del dopo-guerra, certo mai la Storia si ripete tale e quale e quindi il mio discorso non è da prendere alla lettera – ma di sicuro l’ansia – quella – sta tornando.
    Nota: aprirò una libreria – le già poche librerie stanno chiudendo; scriverò un romanzo – c’è tutta un’industria, un vero proprio indotto che specula sugli aspiranti scrittori; imparerò a cucire – i cinesi per due euro massimo quattro ancora un po’ ti fannon un abito da sposa con strascico; insegnerò alla scuola dell’infanzia e mi dedicherò all’educazione ambientale… oh, dimenticavo l’allevare le capre… le capre sono dolci intelligenti e deliziose…
    Sei simpatica! E quella capretta Chiara con i due cornini sul gozzo… ti offendi se riservo a a Chiara il mio abbraccio?

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  7. Va beh … allora. Ho deciso che ti sposo. Divorzia e mettiti con me. Ora non stare a guardare il capello che sono gay e cose del genere perchè quello che hai scritto è quello che a gira nella mia testa e tu ci sei entrata e hai tirato fuori le parole, che io non sono stato in grado di fare. Grazie eRODARIa… e salutami Chiara. Mi sembra una in gamba…dovrebbe aprire un blog anche lei 😉

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  8. Incastrata è proprio la giusta definizione per la mia situazione. Ho un lavoro fisso per il quale mi ritengo fortunata, al tempo stesso è quello che mi fa rimanere ancorata dove sono, con le speranze di cambiamento ridotte all’osso. Quando lavori per anni nel medesimo ruolo finisci per “settorializzarti” e non avere più modo di cambiare. Questo è il cruccio che ho e che non mi permette di muovermi. Ho forse sbagliato alcune scelte nella mia vita e adesso non so come disincastrarmi e ricominciare ad avere sogni e aspirazioni.

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  9. Incastrata e troppo spesso disposta ad accettare di tutto. Io faccio parte dei fortunati (perché ho avuto una gran botta di fattore C) che hanno un lavoro a tempo indeterminato, anche se, come il mio capo tiene a precisare, “indeterminato significa solo che non sapete quanto tempo starete qui, non che ci starete a vita”. Il che non è sempre rassicurante…

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  10. Tutto questo da un lato mi scoraggia e dall’altro mi incoraggia… ancora devo approdare all’università e magari le cose fanno in tempo a cambiare un poco, non si può sapere… ma sicuramente non bisogna rassegnarsi 😉

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