Sconclusioni

 

Se a Maggio il cielo è bianco come la stracciatella ma senza i pezzi marroni (avete presente quel bianco che voi sapete essere bianco, ma il marrone vicino lo fa sembrare leggermente più grigio e voi giurereste che anche senza i pezzi marroni sarebbe un quasi bianco che non esiste nemmeno nelle mazzette dei decoratori? Ecco) e piagnucola da giorni una pioggia di quelle che farebbero tanto bene alla terra se solo avesse deciso di scendere al momento giusto (avete presente quelle situazioni che sarebbero perfette se solo fossero arrivate nel tempo migliore possibile e invece se arrivano fuori tempo massimo sembrano delle cagate pazzesche; tipo un traguardo desideratissimo che arriva quando hai smesso di desiderarlo; tipo quel cappottino lungo fino ai piedi che volevi tanto quel tal inverno e te lo compri l’inverno dopo quando già va il tre quarti), ecco se anche il cielo fa così e s’è dimenticato di far spazio alla primavera e di svegliarsi per benino e di lasciar fiorire in pace i ciliegi, ecco se è così, non vedo davvero perché io dovrei far diverso.

Allora, cielo, se tu sei sconclusionato, lo sono anch’io.

Mi ascolto tre volte di fila Di che cosa parla veramente una canzone e l’unica cosa che ripeto con convinzione a squarciagola e scassapanza e “Non lo soooooooo”.
Tiro giù tutti i libri dagli scaffali, ci riempio dieci scatoloni pesanti come il menir di Obelix e ripercorro nell’ordine che ho dato a quei libri il disordine della mia vita, attraverso quel che ho letto e quel che ancora no. Prendo per mano i personaggi chiusi in quei dieci scatoloni, certi li abbraccio, mi vergogno di averli dimenticati per un po’, come amanti cancellati dopo una passione che sembrava così vera. Racconto loro cosa ne è stato di me da quando ci siamo lasciati, come se non fossero sempre stati lì ad occhieggiare discreti dallo scaffale che non ho mai pulito negli ultimi otto anni. Dieci scatoloni di vita e di polvere.
Mi vesto con tre maglioni uno a coprire l’altro e li rivesto con una felpa primaverile, per onorare un tempo non pervenuto, perché il cielo si è addormentato proprio appena prima di svelarla. Canto con tutto il fiato che ho nei polmoni “Non lo soooooooo” nel tentativo di svegliarlo. Lui dorme e così vorrei anch’io e allora smetto di cantare.
Farcisco i giorni come un panino multistrato, un club sandwich fatto da un cuoco cialtrone, anzi forse non era nemmeno un cuoco, era solo uno scellerato. Ci metto dentro lezioni di violino, esercizi scomposti con pesetti rosa shocking, emissioni di metano, fusilli alle fave e spadellate di baccelli, spargimenti di compost, incursioni lampo dal verduriere, morsi di fumetto, depilazioni parziali.
Mi dimentico di fare la doccia al mattino, lego stretti stretti i capelli, almeno mi lavo gli occhiali, lascio andare i pensieri, lascio che dormano, si sveglino, mangino a orari improbabili altrettanto improbabili club sandwich, frignino, ridano, siano tristi, sguaiati o composti a seconda di come gli va.
Dimentico le scadenze, si coprono di batuffoli di polvere, che annientano inutili segnali d’allarme; niente ansie, ricoperte di acari e briciole di antiche eruzioni vulcaniche. A un certo punto innaffio le piante. Mi lascio trasportare da una corrente che non pare avere una vera direzione, piuttosto indugio in innocui mulinelli. Se diventano pericolosi, poi, nemmeno lo so.

Giro a vuoto ma anche un po’ a pieno, in questi giorni col cielo color stracciatella, così.

Sconclusionati.

(soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=XPyHfMTZLRY)

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