Inclassificabili: di quelle cose che, no, non puoi proprio confrontare.

Statistiche sulle performance lavorative, grafici sulle variazioni settimanali di peso e massa grassa, numero di like sui post social, ore settimanali lavorate, prodotti venduti, lettori raggiunti, distanza percorsa di corsa, il tenore degli stipendi: i numeri ci hanno in pugno, sono il metro con cui ci prendiamo l’un l’altro le misure, la lente attraverso cui autofabbrichiamo le nostre implacabili idee di sé.

Ci sono però delle cose che non possono essere messe in una classifica, che non possono servire a paragonarci al resto del mondo.

La stanchezza. Spesso rubrico gli improvvisi scrosci di pianto immotivato sotto la definizione “piccola, stasera sei davvero tanto stanca“, frase che immediatamente desta un’escalation di autodenunce di superiore stato di sfinimento, condite da “sì, ma io di più“. Ognuno merita il suo riposo, senza necessità di giustificarsi. Lo dico a loro per dirlo a una certa parte iperattiva e spietata di me.

Il dolore. Quelle cose che popolano lo spazio tra la mente e il cuore, specie se sono scure e si piantano nella gola non possono essere oggetto di classificazione, ma solo di lenta, autonoma e paziente digestione.

La fatica. Mi è capitato spesso, nei momenti di grande sforzo di guardarmi attorno e cercare sollievo nel primato della fatica. O, al contrario, essere presa a termine di paragone. Mi è successo, per dire, diverse volte di ascoltare mamme stremate affermare: “Però due figli vicini sono molto più faticosi di due gemelli“.  Non subito, ma dopo un po’, ho capito che una mamma ha solo bisogno di sentirsi dire: “Sì, è vero, deve essere davvero faticoso avere due bimbi vicini ma non coetanei, con desideri e bisogni diversi, sei davvero brava“. Che il sollievo alla fatica non è davvero dato il primato, ma dal riconoscimento di quella fatica.

Il bene. Una delle poche cose al mondo per la quale vale il superlativo assoluto condiviso. Signorina A, Mademoiselle C, Miss T, quelle stesse creature che producono rumorose rimostranze se ricevono un grissino di un millimetro più corto di una delle sorelle, non fanno una piega quando dichiaro apertamente che voglio a ognuna di loro tutto il bene che esiste in tutti gli universi esistenti. Tutto l’amore che c’è, disponibile in misura unica e totale, per ognuna. C’è da dire che difettano leggermente di senso della verosimiglianza (- Per Natale, bimbe, quest’anno vorrei un braccio e una mano in più, identiche a quelle che ho già–  – Sì, mamma, aspetta che lo scrivo. Okay, fatto-), ma a me la faccenda pare poetica uguale.

Quando tra gli inclassificabili potrò felicemente mettere anche la forma del mio corpo, le cose che so fare nel mio lavoro, le cose che non so fare nella vita, i tratti storti mio del carattere, quello sì che sarà da mettere in cima alla lista dei miei giorni migliori.

17 pensieri su “Inclassificabili: di quelle cose che, no, non puoi proprio confrontare.

          1. questo puoi saperlo solo tu, Sappi soltanto, per quello che può servire che io ti leggo sempre con estremo piacere e che fra tutte le persone che seguo sei quella riesce sempre a colpirmi e sorprendermi. Forse quello che senti è solo l’espressione (inevitabilmente “ripetitiva” e molto personale) dei tuoi valori più fondamentali.

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