Una piccola storia dolce

Nella mia città viveva un signore che per molto tempo non  ho mai notato in giro nei luoghi che frequento abitualmente. Nonostante credo fosse nato e sempre vissuto poco distante dal quartiere dove sempre ho vissuto io, mi sono accorta di lui piuttosto tardi, io già mamma, lui canuto.

Aveva un viso torvo, per colpa di un paio di sopracciglia naturalmente folte e scure, che ne rendevano lo sguardo cupo e duro. Se però lo guardavi due volte, e poi tre o quattro, percepivi che quell’espressione perennemente immusonita era solo un tratto anatomico e non caratteriale. Aveva, invece, una sua tenerezza di spirito.

Era, almeno credo, un uomo solo. Uno scapolo di lungo corso. Stando a quel poco che ho ascoltato da qualche scarno racconto intorno alla sua infanzia, era uno dei tanti figli di un padre di quelli violenti, vissuti in un tempo in cui questo era socialmente accettabile. Forse per vicinanza geografica della sua casa con una delle chiese di quel quartiere, era venuto su respirando incenso e sistemando casule.

Così l’ho incontrato anche io.

Vestito nell’inconfondibile stile dell’uomo solo, pulito, ma senza cura particolare per i dettagli, con le calze di spugna dentro a sandali sportivi e lunghe polo da non stirare, raccoglieva la questua della domenica.

Girava per i banchi con la fronte aggrottata, l’espressione burbera, il tao di San Francesco appoggiato sul ventre prominente, i piedi leggermente divergenti. Arrivava anche al di qua dei vetri dove stanno le famiglie dotate di bimbi di dimensioni piccole e ugole potenti.

E, una volta terminata la messa, entrava furtivo in sacrestia e ne usciva con un cestino colmo di lecca-lecca alla frutta. Non passava più tra i banchi, ma veniva dritto dietro al vetro, il volto addolcito da quel piccolo rituale. Che forse aspettava tutta la settimana, che preparava distendendo le rughe della fronte. Che, ho saputo poi, pensava con cura. Sì, perché i lecca-lecca nel cestino non ce li metteva il sacerdote come rinforzo positivo o esca per i bambini. Li comprava proprio lui, ogni settimana, al banco delle caramelle del mercato del giovedì. Lo immagino mentre assapora quel piccolo momento domenicale, chiedendo all’ambulante tre etti di dolciumi assortiti.

Ad un certo punto, improvvisamente, ha smesso di esserci.

Ho saputo poi, chiedendo qua e là, che un lunedì pomeriggio era andato al cinema da solo, in una grande multisala anonima. E nel buio della sala, s’era addormentato senza risvegliarsi, quel silenzioso e accigliato custode di un minuscolo momento di dolcezza infinita.

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20 pensieri su “Una piccola storia dolce

      1. Calvino è un MUST che tutti dovrebbero leggere. Quest’uomo mi ricorda quei personaggi di Calvino, ma senza essere un libro specifico… a volte erano personaggi “agrodolci” e quest’uomo con la sua solitudine, le leccornie e quel finale entra di diritto nelle sue pagine, ma con il tuo nome 😉

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      1. nelle capanne africane, quelle che se lo possono permettere, in un angolo accanto alla porta, appena si entra, c’è sempre un catino con l’acqua e un pezzo di sapone. E’ una maniera per dare il benvenuto all’ospite: entra, lavati le mani, fra poco ti offrirò del cibo. Tutti danno quel pezzo di sapone per scontato, nessuno alla fine si accorge di lui…fino a quando non finisce…e allora tutti improvvisamente si accorgono di quanto fosse utile.

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  1. Quando si dice che “il vero bene che si regala agli altri non va sbandierato”.
    Quest’uomo così semplice e all’apparenza incupito dalla vita, è riuscito a trovare il suo spazio rendendo felici i bimbi, felici come magari lui non era riuscito ad essere…..
    Davvero una bellissima storia!

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  2. Piccola storia veramente dolce… come i dolcetti co-protagonisti. Alla faccia del “glucosio” delle analisi che non c’è medico che non ci imponga.
    Come da manuale, sono proprio questi personaggi anonimi ad essere grandi, mentre pare valga il contrario, per cui tanti personaggi alla ribalta dovrebbero essere rigettati nel più anonimo degli anonimati.

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  3. E’ vero che ricorda Calvino questa storia, anche io l’ho pensato.
    E’un grande privilegio avere le antenne e riconoscerle, queste storie che ci passano accanto, e trasmetterle. Io non avrei mai saputo niente del signore delle caramelle se non me lo avessi raccontato tu, e ora non lo dimenticherò mai.
    Io spero che le mie funzionino sempre bene, di antenne, perché è come vivere un pochino di più. Ed è bello incontrare persone come te, con delle antennone che manco radio maria…

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