Meno per meno fa più

L’umore è una funzione discontinua.

A tratti lineare crescente, talvolta parabolica con salite picchi e discese, raramente esponenziale, spesso parallela alle ascisse, qua e là decrescente. Sinusoidale per i più prevedibili tra noi.

Ci son quei momenti di flesso, spesso inattesi, a volte parametrizzabili, in cui c’è un repentino cambio di pendenza. E dal primo quadrante ti ritrovi in un attimo giù al quarto.

Come se davvero la nostra vita emotiva potessimo rinchiuderla in un sistema cartesiano.

Quel che so è che nello spazio poco euclideo dei miei sentimenti, tutto quel che è vicino è più grande. Un’ingiustizia vissuta ha sull’asse delle ordinate un valore almeno doppio a quello della fame nel mondo. Per questo ammiro che ha il baricentro del cuore e della testa che giace nell’origine degli assi, perché sa guardare e partecipare alle cose della vita e degli uomini con giusta vicinanza.

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Quando un evento esterno mi rivoluziona il sistema di riferimento e l’umore va a esplorare gli abissi dei valori negativi, spero di incappare in un asintoto che mi faccia da materasso.

Spesso lo trovo, anzi l’ho sempre trovato. Gli asintoti che mi fan rimbalzar su son tanti. Sono gli specchi, in cui vedo la fortuna che ho dipinta nei miei accenni di rughe intorno alla bocca, frutto di tutti i sorrisi che la vita m’ha indotto a sganciare.
Son gli altri, la ricchezza di quel che c’è contro il vuoto che è lasciato da chi sottrae opportunità invece che contribuire a crearne.
Son le ingiustizie vere, quelle a carico delle persone che soffrono per davvero.
Sono l’amicizia di chi sta come me o semplicemente con me.

Ché alla fine, la matematica è bella soprattutto perché meno per meno fa più.

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