La mia personalissima sindrome da autoritratto

Forse ho finalmente capito perché non mi piacciono i selfie.

Non è solo per il nome, che davvero non riesco a digerire. Mi desta una specie di imbarazzo incontrollabile, tipo quando ho sentito pronunciare per la prima volta la parola “masturbazione” dalla catechista o quando qualcuno disgraziatamente usa il termine “scoreggia” sul luogo di lavoro. Mio malgrado vengo colta da un senso di impaccio cosmico, una specie di pudico rossore linguistico. È vero forse che se, a definir questa pratica, avessimo conservato il caro vecchio “autoritratto”, le cose sarebbero andate meglio, almeno per me.

Ma non è questo, dicevo. Il mio disagio sta tutto nello sguardo. Uno sguardo che, essendo necessariamente rivolto verso se stessi, ha una sua naturale indelicatezza. Personalmente, per esempio, sono quasi certa di riservare i miei sguardi peggiori all’immagine di me stessa riprodotta su uno specchio, immutabilmente alla ricerca di punti neri, baffetti selvaggi, maldestre scie di dentifricio, borse, occhiaie, rughe e compagnia immonda. Devo dire che i miei – chiamiamoli così-  tentativi di autoritratto sono sempre piuttosto pessimi perché conservo esattamente quello stesso sguardo perfido e indagatore.

Quando cerco di correggerlo, ecco che assumo l’espressione tipica della platessa dopo passaggio in abbondante acqua bollente e salata e prima dell’incontro con la maionese. Perso nel vuoto, privo di ogni espressività riconducibile ad un essere vivente.

Talvolta ho provato l’alternativa di guardare altrove, verso un imprecisato punto dell’ambiente intorno a me, assumendo l’aria di quello che – bandendo ogni modestia- potrebbe tranquillamente avvicinarsi al perfetto idiota. Figurarsi poi, se nella foto si vede quella porzione di braccio che suggerisce senza dubbio alcuno, chi sta scattando la foto. Adieu.

Terribili anche gli autoritratti da webcam nella postazione lavorativa. Non capisco perché accanirsi a immortalarsi (e io l’ho fatto, eccome se l’ho fatto), nell’atto di vivere le ore peggiori della propria giornata, con magari lo sfondo di faldoni, fogliacci disordinati, stivali da campagna infangati.

Infine, il peggio. Il selfie (brrrr) col bimbo in braccio (bimba nel caso mio specifico), quella creatura innocente che non sa nulla dello strano rituale in corso e che guarda teneramente la sua genitrice, mentre lei, che non ha la minima intenzione di ricambiare la melliflua occhiata, guarda dritto allo schermo dello smartphone. Un ignaro capolavoro di fredda incapacità relazionale. Fammi cancellare tutte queste orribilia dallo smartphone, per carità.

 

A seguire, gente che, invece, ci sapeva fare con gli autoritratti, beati loro.Risultati immagini per autoritratti pittorici

13 pensieri su “La mia personalissima sindrome da autoritratto

  1. Oh, come mi trovi in sintonia.
    Oddio, parlo ma senza la tua diretta esperienza, perchè non solo non posseggo smart, ma neanche un anonimo cellulare, (Economizzo sugli ingombri nelle tasche, e preferisco la pipa a un cellulare. Pensa pure di me che sono restato bloccato allo stadio del ciucciotto!)
    Mi diverte l’iter del tuo post: l’abbinamento immediato selfie-masturbazione.
    In ogni caso, sapessi come condivido la tua idiosincrasia a partire già dalla parola, al di là dei riti che riassume.

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  2. Non ho mai amato le fotografie “in posa”, perché, a parer mio, tolgono lo scopo della foto stessa, immortalare un attimo di vita “vera”, figuriamoci quindi il Selfie!!! Dove finisce la spontaneità? Ringrazio, ma mi faccio da parte. Buona serata.

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