C’è stato il tempo per me delle figure retoriche.
Sono perfettamente cosciente che non tutti attraversiamo gli stessi passaggi cruciali nell’arco delle nostre esistenze. Io sono passata proprio attraverso una fase esistenziale contenente le figure retoriche, che volete che ci faccia, non si può comandare al passato.
Quando c’ero dentro, a quel pezzo di vita, le figure retoriche non avevano mica lo stesso valore. Oh, no, che non ce l’avevano. Sul mio personale podio collocavo come oro assoluto l’ossimoro, argento alla sinestesia, bronzo all’anticlimax. Tra i premi minori, insieme a metonimie, sineddochi, iperboli, conservavo ovviamente un posticino anche per la mainstream delle figure retoriche: la metafora.
La metafora, in particolare, l’ho sempre considerata di ordine superiore rispetto alla similitudine. Era un po’ come se la metafora fosse una similitudine senza il bisogno del come. La similitudine come step iniziale per poi arrivare a fare le cose serie con la metafora. Una specie di ruffiano che prepara la giumenta all’arrivo dello stallone. Una sorella cadetta, destinata ad una carriera minore, a una vita insignificante.
E invece no, cara similitudine. Tu hai piena dignità e se dovessi ripassare per quella fase della vita popolata dalle figure retoriche, non dico che intimerei all’ossimoro di scansarsi, ma sicuro ti metterei sullo stesso gradino della metafora.
Il come è un meraviglioso ponte tra cose mai accostate, tra pensieri mai pensati insieme, tra parole mai state vicine. Il come è quella mano tesa tra i soldati e le foglie d’autunno (Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, Ungaretti), tra l’oggetto di un amore e una pioggia primaverile (Come il cibo alla vita sei per me, come alla terra acquazzoni di maggio, Shakespeare), tra un viso e il ricordo di un’alba lontana (…Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane: mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto dell’infanzia vissuta tra queste colline, tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi tutti i cieli lontani di quei mattini remoti …, Pavese).
Siccome, invecchiando, capisco sempre più che c’è bisogno di legami più che di salti, te lo dico, cara similitudine: perdonami per averti così bistrattata, se puoi.
Bellissimo post!
(il mio podio è stato ingombro di metafore e metonimie/sineddochi).
Ma, soprattutto, quella foto è favolosa: da dove viene?
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Germany 🙂
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La mia amica Cybill direbbe: la poesia non si spiega. Lo trovo molto “intimo” questo, forse per questo mi ha particolarmente colpito.
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se Cybill sta per Sibilla, ella custodisce molte cose inspiegabili…
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ah ah ah … non Cybill sta per Cybill Sherperd e lei chiama me Bruce, come Bruce Willis. Erano protagonisti di un telefilm “Moonlighting” negli anni 80. Naturalmente io sto a Bruce come uno stivale sta a un mocassino
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tu sei lo stivale, eh
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Post bellissimo!
La mía figura retorica per eccellenza é senz’altro l’ossimoro!
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sei geniale, come al solito!
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rifuggo l’attributo di genialità, per carità, ma grazie del sostegno 🙂
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io ci sono dentro adesso nella malattia da similitudine, una dipendenza, un vizio peggio del tabacco. E come il tabacco ha un che di piacevole.
(meraviglioso quel ponte del diavolo e il suo perfetto riflesso)
ml
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