Capita spessissimo, molto più di quanto ci premuriamo di accorgercene, che percorriamo sentieri mentali e verbali già aperti da qualcun altro. È proprio come se fossimo di fronte a un prato durante una copiosa nevicata e camminassimo sulle orme lerce di chi è passato prima di noi, anziché avventurarci a profanare noi stessi il nostro personale spazio di candore.
Pensiamo pensieri già pensati, diciamo cose già dette.
Mondo migliore. Avete mai notato come spessissimo il sostantivo “mondo” si trovi accompagnato dall’attributo “migliore”? Lo troviamo negli ideali degli adolescenti, tra le nostalgie degli anziani, nelle parole della canzoni, nelle promesse dai pulpiti, nelle speranze degli innamorati e delle donne incinte. È una pratica linguistica che ha un che di poetico, perché contiene una meravigliosa e incessante tensione verso il miglioramento. D’altra parte, tuttavia, contiene un’infida inclinazione a lamentarsi delle contingenze. Io faccio questo esercizio: ogni tanto affianco a “mondo” anche l’aggettivo “peggiore”, così, per sentirmi fortunata gratis. Dopotutto i Leibniz non sono unicamente dei biscottini al burro.
Prendersi male per dei traguardi. Tipicamente sono i numeri tondi: ci appaiono come traguardi che sembrano la fine di qualcosa di meraviglioso e l’inizio di qualcos’altro non esattamente all’altezza. Può capitare anche per l’arrivo di un bambino che ti rende zio o nonno, per una svolta professionale, anche solo per un apparentemente innocuo Capodanno. La verità è che ci piace immaginare la linea esistenziale che percorriamo vivendo come costellata di pietre miliari, archi di trionfo, panchine, o pensiline per ripararsi un po’. Ma alla fine non facciamo altro che camminare incessantemente e, mentre si cammina, ogni traguardo è solo una linea immaginaria (chi la chiama linea d’ombra, chi la vede rossa e sottile), che dopo un po’ di ridimensiona alle proprie spalle. Da sempre faccio l’esercizio di pensarmi dopo al traguardo che in qualche modo mi preoccupa o spaventa. Mi trasferisco con la mente a quando lo avrò oltrepassato. Lo facevo già al liceo, al culmine dell’ansia prima dell’interrogazioni di fisica: mi fermavo un attimo e preassaporavo il senso di liberazione che avrei provato dopo. Quando mi preoccupavo dei trent’anni mi sono immaginata come li avrei rimpianti a quaranta. Un po’ funziona per davvero.
La vita è una ruota che gira. Non so voi, ma io difficilmente sono riuscita a ritornare al punto di partenza, anche volendolo fortissimamente. Se proprio la vogliamo pensare rotonda a tutti i costi, questa vita al massimo è una girella di liquirizia, per mangiarla devi comunque srotolarla.
Il treno passa una volta sola. Date un’occhiata al cartellone delle partenze, quello giallo, in una stazione qualsiasi. Scoprirete definitivamente che i treni passano tutti i giorni, più o meno alla stessa ora, con qualche eccezione nei festivi. Le metafore sono un magnifico strumento per descrivere la realtà, ma se diventano troppo ingombranti fomentando immotivate ansie da prestazione, meritano una museruola.
Oramai è tardi. La locuzione delle occasioni perdute, andrebbe assolutamente centellinata. D’altra parte non ci si può fidare di un’espressione che contiene in soli 11 caratteri ben tre avverbi di tempo, per di più con significati completamente opposti: ora, mai, tardi. Dai, non si può proprio sentire.
Non ci avevo mai pensato, a quello che hai scritto su “oramai è tardi”. Proprio vero.
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quant’è vero che le parole sono importanti, eh?
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Sì, molto.
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Brava, via dai luoghi comuni e tutti a calpestare la neve! 🙂 (e attenti a non pestare le impronte)
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viaaaa!
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🙂
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E sì…percorriamo strade già aperte da qualcun altro! La metafora della vita come girella della liquirizia… 😀 Come trasformare piccoli luoghi comuni in un delizioso post
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“delizioso”, Dear Bear, stai cominciando a diventarmi sdolcinato…attento…
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azz
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Le ultime due non mi hanno mai convinta, forse per carattere mio tendo a credere che nel futuro ci sia sempre tempo e treni a disposizione 😅
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ma infatti!
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Ancora meglio è l’espressione che uso la mattina per dare una mossa ai fanciulli…presto che è tardi! (Leibniz comunque era un grande!)
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un morso a Leibniz ogni tanto andrebbe dato
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…”eh, non ci sono più le stagioni di una volta…” lo diceva la mia bisnonna quando ero piccola e credo lo dicesse pure Socrate ai tempi suoi.
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non ci son più i luoghi comuni di una volta…ah, no, son proprio sempre gli stessi!
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Come demolisci tu i luoghi comuni nessuno mai! Bellissimo pezzo! 😊
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Mela, grazie delle tue generose letture!
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Brava Chiara, sempre ispirata (e molto prolifica).
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nella vita e nei post!
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Non so come ti sia venuta in mente la metafora della girella ma credo proprio che prima o poi la tirerò fuori dal cilindro!
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Usala!
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Anche a me è piaciuta da pazzi !!! Sarà che adoro le girelle di liquirizia 😉
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ciao Ennesima, piacere di ritrovarti? Come stai? Tutto bene?
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sono un po’ impegnata a lottare per la carriera che sogno ma non riesco ad avere e a risponde a tormentone dei parenti “quando trovi un fidanzato?”. per vedere il lato positivo della cosa credo che avrò presto un sacco di materiale per il blog 🙂
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È proprio vero, viviamo di luoghi comuni, perchè in fin dei conti la mente di noi piccoli esseri umani funziona allo stesso modo per tutti. Pensiamo queste cose già pensate, dette e scritte da miliardi di altri individui, in milioni di altre lingue: ma il concetto non cambia. L’unica cosa che mi consola è che se una persona ha quel piccolo lume in più è in grado di aggiungere la sua interpretazione dei fatti e non prendere questi pensieri come leggi non scritte alle quali non si può sfuggire. Grazie per la riflessione profonda e buona domenica.
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grazie a te della lettura!
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