Era un’estate

Mi piacciono molto quelle piante che crescono sui marciapiedi, nelle fratture del cemento.

Qualcuno le chiama erbacce, magari le stecchisce col sale, tanto loro ricacciano e cercano imperterrite il loro raggio di sole.

Mi ricordano tantissimo la risata piena di mia nonna – orfana a vent’anni, vedova a trenta, madre nubile per il resto del suo breve tempo- che conservava quell’ostinata sapienza di essere allegra per le cose della vita.

Com’è come non è, mi sembra, a ricordarla oggi, che attraversasse un lungo e rigido inverno, custodendo dentro sé un’infinita estate.

E quell’estate era fatta di tante risate grosse grasse, talvolta scomposte, belle piene, rotonde e perfette così com’erano, tra ponti e lapilli.

Era fatta di occhiali da presbite sul naso, che le facevano gli occhi grandi, mentre era impegnata a cucire le tende della cucina o un vestito di sangallo per la bambina che sono stata.

Era fatta di rituali superstiziosi, che, nonostante la mia coltivata razionalità, emergono tra i ricordi per ammonirmi quando taglio incautamente le unghie di venerdì o incrocio  coltello e forchetta sulla tavola della cena.

Quell’estate era fatta di battute ed espressioni proverbiali, alcune delle quali irripetibili, come quella che serbo nel cuore e che serviva a descrivere la piena felicità di qualcuno.

Era un’estate fatta dei racconti di un paese che non c’era più essendoci ancora, di uomini e donne trascorsi, di guerra e di pace, di nomi dolcemente storpiati (Pimpi, la Noniciula, Vìguzzolo con l’accento sulla i, la Licia, chissà poi chi era), di un giardino ombroso dove si coglievano le fragole per venderle dopo aver inforcato la bicicletta.

Era un’estate colma di Peter Noster, Requiem aeternam, canti ecclesiastici in falsetto, immaginette di santi consunte.

Era un’estate di partite a carte, rotocalchi di gossip, stivali da sfilare a forza come il tiro alla fune, un velo di rossetto rosa.

Era l’estate di un’irripetibile torta col carsent, l’estate in cui ho imparato a preparare gli gnocchi rotolandoli allegri sui rebbi della forchetta.

Era un’estate fatta di valzer alla radio e di un-due-tre mentre la pasta cuoce sul fuoco.

Era un’estate di quelle indimenticabili.

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