Alessio Luigino

Vivo in una città che dalla metà dell’Ottocento, fino ai miei ricordi di bambina ha ospitato un ospedale psichiatrico, che, da ché non esisteva il politically correct, tutti abbiamo sempre chiamato “il Manicomio”.

I miei ricordi ospitano molte figure note e persino familiari, di cui però non sapevo e non so altro che quel che potevo vedere. Non conosco nomi, non so storie. So di quel signore che è salito sulla macchina che mia mamma aveva parcheggiato qualche minuto per entrare in un negozio e ha cominciato a chiacchierare con me. So di quel signore che usava andare in giro con accessori femminili e un rossetto scarlatto. So di quel signore che chiedeva a tutti una sigaretta. So di quella signora che passeggiava in camicia da notte, i suoi abiti da giorno in una busta di plastica. So di tutte quelle volte in cui il passaggio a livello era forzatamente chiuso perché qualcuno aveva finito per finire sotto a un treno in transito.

Dopo che l’ospedale è stato chiuso, gli storici abitanti sono restati a vivere lì. Finché, a poco a poco, se ne sono andati via tutti, portando via dalla città le loro vite e un pezzo grande ma a tratti trasparente di storia.

L’ultimo ad andarsene, a causa di un limone ingoiato intero, è stato Alessio Luigino. Come degli altri pazienti so molto meno di quello che vorrei raccontare e quello che so è molto impreciso. Non ho fonti, anzi, se qualcuno leggendo queste righe potesse ricordare altro, farebbe una cosa bellissima a condividere quel che sa della sua storia.

Alessio Luigino era un uomo che con tutta probabilità aveva meno anni di quelli che dimostrava. Lo ricordo pressappoco come un sessantenne coi modi di un bambino, di quelli ostinati che non ascoltano gli adulti. Era tozzo, con pochi capelli e una camminata svelta. Faceva piccoli passi molto frequenti, a comporre una specie di corsa a singhiozzo. Lo ricordo persino elegante quando di domenica percorreva la navata della chiesa con quegli strani balzelli, il cappello in mano e lo sguardo torvo. Sedeva in prima fila. Almeno una volta all’anno faceva ricordare tra le preghiere dei defunti quel tal sacerdote cui si era affezionato da bambino. Mi pare di ricordare che fosse arrivato al Manicomio proprio da bambino semplicemente perché figlio illegittimo o indesiderato e che ci fosse diventato matto, a forza di stare lì.

Non so altro e mi dispiace, vorrei che la storia di Alessio potesse essere raccontata con tutto il suo pieno significato.

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21 pensieri su “Alessio Luigino

  1. Mi ha fatta tornare indietro di anni questo tuo racconto.
    Ho frequentato le superiori in un istituto che è stato un ex convento, enorme con tanto di chiesa e chiostro all’interno, abbastanza grande da contenere anche una struttura separata adibita, appunto, a manicomio.
    Quando studiavo io c’erano ancora degli ospiti, le finestre con delle spesse sbarre di ferro davano sul cortile che percorrevo per uscire (non l’ingresso principale, ma quello “del retro”, un pò come se si fosse scelto di tenere il “problema” lontano dai fasti del chiostro con il pozzo e le piante…).
    All’uscita c’era un uomo che sembrava quasi aspettare che uscissimo, salutava e faceva il countdown con le mani fino al sabato, giorno di festa.
    Era così felice che qualcuno gli regalasse un sorriso che iniziò a tenere dei fiori freschi sulla finestra, certo il “vaso” era una statuina di Sant’Antonio in ceramica decapitata, ma questa è un’altra storia.

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  2. Anche a me hai rievocato un personaggio… una donna, trascorreva la giornata lungo la statale, in attesa di un passaggio.
    Non si prostituiva, non chiedeva autostop, ogni tanto inveiva contro i passanti.
    Camminava su e giù dal marciapiede, la sera spariva e riappariva il mattino successivo.
    Una donna bella, alta, dalle fattezze nordiche, ma lurida, sporchissima.
    Nessuno sapeva chi fosse, nè il suo nome, nè cosa facesse.
    Alcuni dicevano che aveva perso un figlio. Poi basta. Si narra che sia morta investita ma anche questo è un mistero.

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  3. A me hai fatto venire in mente un fatto accaduto durante una mia visita a Bielefeld nel Nord della Germania, nel novembre del 1987. Un freddo cane, nella città c’era una festa, tutta la gente in piazza. Un uomo, 35/40 anni, se ne andava in giro tutto nudo, indossava solo scarpe e calzini. Sul petto e sulle scapole un cartello portava una scritta: “Io sono un capolavoro della natura”. La gente si scostava sorridendo e lo lasciava passare, anche i poliziotti non facevano nulla. Lui non infastidiva nessuno,
    non parlava. Un nostro amico ci spiegò che ciò avveniva da anni, sempre in occasione di quella festa e tutti ormai si erano abituati a questa stravaganza. Per il resto dell’anno, il tizio conduceva una vita apparentemente normale.

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  4. Che belle pennellate i tuoi frammenti di ricordi…quando ho iniziato a uscire con Domenico, passavo sempre accanto all’ex Manicomio per raggiungere casa sua. Inoltre era diventato uno dei nostri luoghi di ritrovo, per corse e chiacchiere. Chiederò a lui, talvolta mi racconta di qualche persona della sua infanzia, so di per certo di un ragazzotto che andava tutti i giorni in panetteria, si metteva pazientemente in fila, e poi a gran voce esprimeva il suo desiderio di felicità: “Bombolone”. Gli chiederò anche di Alessio Luigino…

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  5. Se metti un post su una pagina di Collegno avrai tantissime storie
    Ne sono certa.anch’io ne ho visti tanti.e Alessio era di casa in caserma dove la mia vicina faceva le pulizie.

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    1. Magari lo farò! Devo dire che già postandolo semplicemente sul mio profilo di Facebook ho ricevuto tante testimonianze e segnalazioni di fonti da consultare. Andrò per gradi! Grazie mille Maria Teresa!

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  6. Verissimo. Queste storie fanno venire in mente i ricordi di mia mamma quando per visitare un’anziana zia a Torino doveva passare vicino al Manicomio e non sapendo come comportare e interagire con queste persone, tornava a casa triste e frastornata.

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