Ma com’è che mi giustifico di continuo?

– Ciao! Ho lasciato Signorina A e Mademoiselle C a scuola e Miss T all’asilo e, siccome sono di strada ed ero leggermente in anticipo, mi sono fatta un giro di cinque minuti al mercato prima di andare al lavoro- m’è capitato di rispondere al più che innocuo “ciao” della mamma di due compagni di scuola delle mie bimbe, incrociata per un attimo alle 8.55 di un mercoledì qualunque.

– Ciao! Sto aspettando il signor Pàpici, Miss T, Signorina A e Mademoiselle C, che stanno arrivando in macchina da casa, mentre io, sai, ho appena finito un corso qui vicino e sono venuta a piedi-ho ribattuto ad un altro “Ciao!” senza pretese, questa volta pronunciato dalla mamma di una compagna di piscina delle bimbe, incrociata davanti all’impianto.

Ma com’è che mi giustifico di continuo?

Ci ho pensato, lo faccio davvero continuamente. Ammorbo i miei interlocutori con dettagli non richiesti intorno alle svariati ragioni per le quali mi trovo in un preciso punto dello spazio-tempo. E, nella stragrande maggioranza dei casi, ai disgraziati non frega veramente niente.

Riempio gli eventuali spazi di mistero con dettagliati resoconti di come sono andate realmente le cose. Un atteggiamento illuminista? Forse. Non sarà mica piuttosto una declinazione della medievale excusatio non petita, eccetera eccetera? Boh.

Fatto sta ed è che avrei deciso di smettere. Niente illuminismi né medievalismi, dopo tutto son figlia della cultura pop anni novanta. Parte da ora una cura autoimposta di sono fatti miei alla Raz Degan nello spot superalcolico che mai dimenticheremo.

Prego chi mi incontra di segnalarmi con un ben piazzato “sticazzi” ogni deroga a questa dieta dell’autogiustificazione non richiesta. Ogni scivolone: “sticazzi”. Ogni parolina di troppo: “sticazzi”.

Potrei stupirmi della femme mystérieuse che diventerò a fine allenamento.

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