Treni, Carver, Tolstoj, la mia ignoranza e quel che, al fondo di tutto, continua a brillare

Sono reduce da due viaggi in treno di 6 ore ciascuno, uno in fila all’altro, nello spazio di nemmeno due giorni.

I treni che percorrono longitudinalmente l’Italia sono una meraviglia che riesco poco a descrivere. Il paesaggio geografico, agricolo e umano varia con una ricchezza che mi risveglia una gratitudine lunga almeno alcune centinaia di chilometri.

Sul treno ho osservato di sottecchi, ascoltato, scambiato qualche battuta, letto Carver per la prima volta. Leggere autori di culto per aspiranti scrittori è una pratica che mi mette vagamente a disagio. Mi sento addosso un’ansia da prestazione reciproca. Lui non mi può deludere, io non dovrò in nessun modo deludere lui, né nei miei esercizi futuri, né nella presente comprensione del suo riconosciuto talento. Carver m’è sembrato proprio come essere sul treno. Quando incroci incidentalmente scorci di vite degli altri e poi è già ora di scendere o di ripartire. Ho letto Carver, ne ho postato la foto su Instagram per atteggiarmi a gran lettrice e poi mi sono infilata in una libreria e mi sono seccata per non aver trovato Anna Karenina sotto la “D” di Dostoevskij. Sono andata a chiedere spiegazioni al banco informazioni e solo quando ho avuto il librone tra le mani ho realizzato che a scriverlo fu Tolsoj. Carver, perdonami, sono una specie di parvenue che si gloria sui social di leggerti per poi crollare sull’abicì.

Ultimamente ho molto da fare e poco da dire. E poi l’estate mi smarrisce. Questo senso di stanchezza epocale ha l’indubbio vantaggio di riportarmi alla sostanza delle cose che hanno senso di resistere.

Obiettivi, passioni, desideri sono tutte lodevoli vie di distrazione. Ma – e uso con piena cognizione la congiunzione avversativa- quel che conta e che continua a brillare dentro allo smarrimento del caldo e della stanchezza di questo fine anno poco astronomico ma tanto reale è quello per cui vale la pena dedicare tempo e vita.

Io l’ho capito, quel che brilla per me, e auguro smarrimento e stanchezza a palate come via per trovarlo, ognun per sé.

11 pensieri su “Treni, Carver, Tolstoj, la mia ignoranza e quel che, al fondo di tutto, continua a brillare

      1. Quel senso di stanchezza verso certe cose, che poi però alla fine fa brillare altro. E’ una domanda che in questi giorni mi sto ponendo spesso, e che malgrado hai la risposta, la domanda risale su, come quei fastidiosissimi peperoni 😉

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  1. Mi hai fatto tornare indietro di molti, molti anni, quando usavo i treni come mezzo di trasporto nei lunghi viaggi che facevo, da sola, per motivi di lavoro o di diletto. Non ero una pendolare, di questi viaggi ne facevo solo in certi periodi dell’anno, leggendo libri e guardando i paesaggi, ascoltando le chiacchiere degli altri viaggiatori.
    A proposito del cercare qualcosa, sbagliando “luogo”, mia madre cercò la Gioconda agli Uffizi, a Firenze, con somma costernazione degli addetti ai lavori, che risero di gusto quando lei chiamò ladri i francesi, perché l’avevano al Louvre

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