Le borse personali racchiudono storie. E quando ti portano via una borsa personale (come è accaduto a me qualche giorno fa) ti portano via anche quelle storie. Bisogna raccontarsele, per non perderle definitivamente.
La mia borsa era uno zaino di iuta artigianale, comprato in un mercatino ad Ormea, al ritorno dalle vacanze al mare a fine luglio. La signora, di cui non conosco il nome e me ne dispiaccio moltissimo, ne ha fatte molte di diversi modelli, utilizzando sacchi grezzi di caffè. Era un pezzo unico, originale, molto ben rifinito. Conteneva diversi oggetti, ognuno con la sua storia.
– Un astuccio verde smeraldo con il cellulare; l’avevo comprato in una cartoleria nel giorno in cui ho ricevuto in assoluto la peggiore delusione lavorativa che ho provato finora. A un passo da un traguardo importante, sono stata sorpresa da una doccia gelata, realizzando di non vivere nel migliore dei mondi possibili. Ho tentato di scaldarmi con un piccolo astuccio verde smeraldo. Credo di avercela fatta, tutto sommato, a riprendere la mia normale temperatura corporea.
– Due trousse morbide, che mi ha regalato qualche Natale fa il signor Pàpici, alla mia richiesta di un contenitore impermeabile per la doccia in piscina. Ovviamente non erano impermeabili, ma così carini da meritare un posto in borsa. Contenevano oggetti d’uso personale, tipo spazzolino, assorbenti, collirio, tachipirina. Fuori c’era una scritta fuffolosa, tipo “only for cutie girls”, che mi faceva sorridere.
– Un microportapenne fucsia con dei matitoni colorati (uno arancione e uno ciclamino) risalenti all’epoca in cui prendevo appunti all’università e una vecchia pendrive risalente alla gran fatica del convegno internazionale organizzato con Signorina A e Mademoiselle C in pancia, quando indossavo quel tal abito pré-maman, indossando il quale son stata affettuosamente definita “artichoke”.
– Un nécessaire da cucito comprato da una casa produttrice inglese terribilmente radical chic, risalente al periodo (intorno ai miei trent’anni e alla mia prima maternità) di infatuazione per il faidate sartoriale.
– Un paio di occhiali da sole graduati, scelti con la mia mamma.
– Un portafoglio bellissimo, comprato da un paio di settimane, nel negozio -molto bello- di un’amica.
– Un portamonete arancione, regalo di compleanno dei miei cognati, che me l’avevano accuratamente scelto del colore dell’agenda, mettendo una pezza alla mia naturale propensione a mescolare (talvolta indecorosamente) i colori.
– La mia agenda 18 mesi, appena iniziata.
– Una piccola trousse con dentro tutte le chiavi della mia vita, acquistata nella bottega equosolidale che frequento abitualmente, con stilizzata una volpe che assomigliava tantissimo a quella disegnata per la prima volta da Saint-Exupéry.
– Un delizioso portacarte di cuoio lilla, artigianale, regalo della mia amica e collega B, in occasione di un paio di Natali fa, infarcito di tutte le carte fedeltà degli esercizi commerciali nel raggio di 20 km.
– Una power bank veramente trendy, con un sacco di disegnini trendy, che forse mancavano solo i flamingo e gli unicorni e poi c’erano proprio tutti all’appello. Me l’ha regalato la mia amica L, colei che mi fa i regali in assoluto più belli, perché conosce a menadito l’adolescente che è in me.
Insieme alla borsa personale hanno portato via anche un borsone di tela grezza con disegnato l’albero del riciclo, proveniente niente popò di meno che da Nuova York (mio fratello e mia cognata dovranno recarcisi nuovamente apposta per ricomprarmela uguale identica).
E pure la mia borsa del pranzo, mortacci. Non so perché ma il sottrarmi un turgido cuore di bue con le diaboliche gallette di mais, mi è sembrato veramente una gran scortesia.
Che nervoso quando capita ti capisco e soprattutto quando hai dentro gli occhiali da vista che costano come un dente d’oro
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brava, è la cosa che mi dispiace di più!
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Mi dispiace. Davvero sembra che le cose si portino dentro un pezzo di noi. Se ti può consolare, a me hanno rubato, imbrogliandomi, un trasloco internazionale intero- strapagato e mai recuperato. Quindici anni di vita. Soffro moltissimo ancora adesso. Eppure bisogna imparare a farne a meno. Un abbraccio. m
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caspiterina, mi spiace!
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Hai scritto un articolo bellissimo: ho voglia di prendere a calci quel delinquente che ti ha portato via la tua borsa e tutto il contenuto.
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ma no, non ne vale la pena…grazie dell’affetto!
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Buon pomeriggio.
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Viviamo in uno Stato che è molto-molto buono con i delinquenti, se non addirittura affettuoso. I ladri e delinquenti, grossi o piccoli, sono vezzeggiati: li chiamano “furbetti”.
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i furbetti del pomodoro 🙂
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Già, ma piccolfossero solo quelli.
(Da piccolo al catechismo ho imparato che c’è la Divina Provvidenza, ma poi sono diventato grande, mi sono evoluto, e di pari passo ho imparato che c’è la “prescrizione”.)
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Errata corrige: no, piccolfossero – sì : ma fossero solo quelli.
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Uffa, mi spiace! Quante storie nelle nostre borse…Nella mia si celano anche avanzi di merende che ormai camminano da soli, non sono un antifurto ma almeno i malandrini corrono il rischio di schifarsi….non che ne vada orgogliosa eh!
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ahahah, ottimo deterrente!
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Peccato per la borsa. È sempre un dispiacere economico e soprattutto una orribile sensazione di abuso. Però vedo con piacere che uno dei contenuti più preziosi lo hai conservato: Le storie. 🙂 ora bisognerà iniziarne di nuove 🙂
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Diciamo che almeno 2 settimane ininterrotte seduto sulla tazza del wc gliele auguriamo che dici?
Pessimismo e fastidio quando succedono queste cose…
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