Unisci i puntini

L’amicizia è uno di quei giochi enigmistici da bambini in cui passi da un punto all’altro seguendo una sequenza numerata e poi ti ritrovi ad aver composto un disegno, fatto di righe spezzate e angoli laddove forse sarebbe stata più gradevole una linea curva ma tu non potevi saperlo prima di avere la visione di insieme. I puntini sono come delle boe, per tirare il fiato prima di riprendere la navigazione.

Uno di quei puntini è una bambola bionda, un’estate di oltre trent’anni fa. Due bambine sedute in spiaggia su una pietra ricoperta di un velo di sabbia che punge le giovani terga, ma loro non sembrano accorgersene. Sono sotto il sole cocente di luglio, ma nemmeno questo le turba. Un puntino è lei che dice a me:”Vuoi che ti insegni come si fanno le trecce?”.

Uno di quei puntini è una dedica a matita sulla controcopertina di un libro, che si è messa a sedere accanto a me nel primo viaggio intercontinentale in solitaria della vita. Una dedica che mi è stata sulle gambe e sulla pancia mentre portavo a compimento senza saperlo il viaggio metaforico e reale tra la gioventù e la vita adulta. Una dedica a matita che non si è cancellata né dal libro né dal cuore.

Uno di quei puntini è una tessera fedeltà di un ristorante cinese, ogni casella è un prezioso pranzo rubato alla quotidianità, ogni involtino primavera una conversazione che rinfranca, ogni piatto di spaghetti di riso una risata che risolleva, ogni raviolo al vapore una presenza che ripara dalle diverse forme che, come una specie di Diabolik, la solitudine sa assumere.

Uno di quei puntini è un golfino nero a pois bianchi comprato uguale identico in negozi diversi. È una lampada Tiffany dai colori caldi, una maglia orribilmente dipinta, una vecchia borsa di iuta, un quadro di etichette alimentari e improbabili aforismi, una lista di faccende che credo non abbia seriamente una fine.

Uno di quei puntini è una boccia rotonda con due pesci rossi. È una corrispondenza ai limiti della grafomania. È un CD craccato con sopra Creep, quando più Creep di così era davvero difficile sentirsi.

Uno di quei puntini è una coccarda azzurra, nel negozio di un fioraio, quando forse manco sapevamo veramente come venivano fuori i bambini.

Uno di quei puntini è un paio di orecchini di bigiotteria, forse uno dei gioielli che ho considerato più belli al di là di un’oggettività che mi remava contro, uscito da un pacchettino per un compleanno in cui non si raccoglievano oggetti ma denaro da regalare.

Uno di quei puntini è una giornata a spalare fango dopo un’alluvione, senza sapere chi stavamo aiutando a rientrare in casa. È una lettura generosa, più un’altra e un’altra ancora. È una ceretta per conto terzi.

Uno di quei puntini è un minuscolo orsetto fucsia con un minuscolissimo zainetto rosa, recapitato sul mio lettuccio dopo il furto delle tonsille.

Uno di quei puntini è uno spettacolo teatrale a piedi nudi da qui fino a Cinisi.

Uno di quei puntini è una molla rumorosissima sotto a un tavolo di fòrmica, diventato magicamente camper. Un chili con carne come prova di coraggio. Due sagome che non vedevo ma sentivo, dietro di me, all’orale quello serio.

Uno di quei puntini è una vecchia scala di graniglia, che diventava l’appartamento pluripiano di una grande famiglia composta da Pouchie, gli Snorkies, i Puffi, gli animaletti ricoperti di moquette della MisterDay, con i temperini a far da bidet. Perché sono i dettagli a fare la differenza.

Uno di quei punti è il tragitto ufficio-risaia risaia-ufficio e tutte le confidenze che quei chilometri sono stati capaci di contenere.

Uno di quei puntini è un bicchiere di tè freddo in una casa calda, seduti intorno ad un tavolo, in attesa della maturità.

Uno di quei puntini è un posto a sedere accanto, per darsi il coraggio di imbarcarsi per un progetto nuovo.

Uno di quei puntini è “quando lo scrivi, però la prima presentazione la organizziamo qui”.

Uno di quei puntini è un colpo di apriporta, da seduto, a vent’anni dall’ultima volta.

Uno di quei puntini è una figura benevola all’orizzonte di un parco di città durante un attacco malevole di ingiustificata gelosia preventiva.

Uno di quei puntini è una lampada magica, bambinesca, per un compleanno di quando bambina non lo ero più da parecchio.

Uno di quei puntini è un ammonimento su un vecchio pullman di linea: “Ora però pensa anche a stare bene anche tu”.

Uno di quei puntini è un pacchetto di datteri sottovuoto, un vasetto di curcuma iraniano, la paprika ungherese, una mezza tazza australiana, una maglia bianca di seconda mano.

Uno di quei puntini è un sandwich di cracker in una cucina di campagna che vedevo per la prima volta.

Uno di quei puntini è spostare una cena, per averti a tavola. È un abbraccio in cui tu, dopo aver fatto quella che contiene, vieni alla fine contenuta.

Uno di quei puntini è un abbraccio sincero, per un piccolo successo.

Uno di quei puntini è un oroscopo bislacco il giovedì, che non importa in che parte del mondo ci si trovi.

Uno di quei puntini è un’insalata russa perfettamente geometrica e un’anima dentro a una candela.

Uno di quei puntini è uno yogurt di latte condensato, in uno sperduto villaggio africano. È offrirsi di mettersi alla guida in un giorno fatidico e in uno normale. È sedersi accanto su una piroga che imbarca acqua torbida.

Uno di quei puntini è andare a ritirare una lasagna in gastronomia, quando la tristezza ti abbassa le difese immunitarie.

Uno di quei puntini è un appuntamento con un’insalata con la quinoa e i pomodorini secchi. È un nomignolo nuovo, uscito da chissà dove. È il rispetto per un no, non farlo, almeno non per me. È un ombrello a foggia di girasole.

Uno di quei puntini è uno sconto per un meraviglioso paio di pantaloni, per una visita medica, è un tupperware di riso giapponese, è la ricetta di una torta, è offrire quello che si è attraverso quello che si ha o si sa fare.

Uno di quei puntini è una gita in rifugio. È una pizza scaldata in forno. È uno sguardo di gioia rivolto gratuitamente alle mie bambine.

Uno di quei puntini è un mazzo di fiori inatteso. È una dedica inattesa. È una vecchia canzone cantata per la prima volta, con l’illusione che fosse per me. È una carezza sulla fronte mentre stavo per diventare mamma.

Uno di quei puntini è un complimento da camionista che risuona come un quartetto d’archi.

Mi volto indietro, ho la mia mappa, fatta di puntini, di boe, di salvifiche isole che hanno disegnato una rotta. La rotta forse potrà sembrare un groviglio a chi la prende in mano ora per la prima volta, ma in realtà, almeno per me, è un panorama mozzafiato.

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