Annoto pensieri, pensando sticazzi.

Cerco di non frequentare più i luoghi comuni.

Ho smesso di pensare alle stagioni come mezze, non mi fregate: l’ho capito che sono tutte e quattro intere.

Parlo raramente del più e del meno, mi dedico ai logaritmi: sono ingiustamente trascurati.

Ho fatto il bagno in mare a metà ottobre, benedicendo in segreto i cambiamenti climatici. Ma solo per cinque minuti.

Prendo atto che c’è un elemento che mi attrae e mi rigenera più di tutti gli altri e quell’elemento è proprio il mare.

Penso che se gli alberi potessero esprimere ciò che pensano, ci descriverebbero come quelle creature che li riforniscono dell’amata COche li nutre di carbonio.

Descrivo le nuvole come cirri, cumulonembi, stratocumuli o nembostrati, ma continuo a vederci dentro dragoni, divani, vele gonfie e, sì, spessissimo, il mare.

Non mi offro mai di aiutare qualcuno a casa sua come escamotage per evitare di invitarlo da me.

Concepisco qualche opinione sessista o razzista, ma poi faccio in modo che non vedano mai la luce.

Non descrivo il cielo come terso, anche se lo è. Non descrivo i pugni come serrati, le relazioni come logore, le discussioni come animate o i gatti come opportunisti. So che le parole già dette imprigionano i pensieri.

Chiamo la mela pomo, la spiga del grano pannocchia, il melone peponide, la mucca vacca, ma addento con lo stesso gusto di prima mele, pane, meloni e formaggio.

Annoto pensieri, pensando sticazzi.

 

 

 

 

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