Camminare sugli assi

Da quando la mia vita professionale mi ha portato a frequentare assiduamente le risaie, ho incominciato una pratica che non avevo granché fatto in precedenza: camminare su degli assi. Per accedere alla zona di campo dove compiamo le nostre misurazioni, infatti, è necessario inoltrarsi nel campo di riso senza disturbarlo. Per cui dagli argini costruiamo una specie di palafitta semi-flottante fatta di assi di legno che si appoggiano su mattoni in cemento, che viene messa e tolta a seconda dell’evenienza. Si arriva al bordo del campo, si mette giù la prima asse e poi le altre di seguito. Si finisce la misura, si tolgono le ultime assi messi e il sistema si smonta e si ripone per le giornate successive.
Camminare su un’asse di legno, spesso bagnata, imbarcata, abbastanza pericolante, con dei pesi in mano, non è un’impresa per me facile. Temo sempre di cadere nell’acqua, quella profonda di un fosso laterale, quella fangosa del campo stesso. Cadere significa molte cose: bagnarsi, prima di tutto. Ma anche rimanere inghiottiti dentro al fango che crea un immediato effetto risucchio intorno allo stivale e rende davvero disagevole il recupero dell’arto. Ma più di tutto: rovinare più o meno irrimediabilmente la parcella che stai in qualche modo studiando.

Ho sempre incertezza quando metto gli stivali o le scarpe anti-infortunistiche sul legno di un’asse. Sempre ho guardato con sana invidia i miei colleghi che si aggirano disinvolti su quelle piattaforme fessurate e traballanti. Io faccio un respiro, mi guardo il piede di partenza, sempre il destro, e poi parto. Certo, si tratta dell’indugio di un secondo, ma c’è sempre, senza rimedio.

Lungo gli anni si diventa sempre più capaci di indossare salvifiche maschere. Non si tratta necessariamente di ipocrisia. A volte si tratta di una buona forma di contenimento delle proprie ansie, dei propri riconosciuti difetti, allo scopo di non farli trasbordare in maniera molesta nelle vite altrui. Ecco perché qualcuno, forse, potrà stupirsi se mi descrivessi come un tipo insicuro. Invece, lo sono in moltissimi ambiti della mia esistenza: nella guida, nel parlare in inglese, nell’indossare certi accessori, nel telefonare agli sconosciuti, nel camminare sulle assi, nell’essere mamma.

Quest’ultima insicurezza, forse la peggiore, sicuramente quella che mi preoccupa maggiormente, non ha a che fare con le contingenze (“le dico di sì o di no all’ennesima richiesta di una caramella?“) ma con i massimi sistemi. Coi danni grandi, le mancanze irrimediabili, le storture profonde. Ho una paura folle di star camminando male sull’impalcatura più importante della mia vita. E questa insicurezza stessa, che traduco a volte in battuta a volte in post senza soluzioni, amplifica a sua volta se stessa. A volte ci rido su, e non è un gran male, ma non è neanche la soluzione definitiva. Sentirsi imperfetti in compagnia confeziona una cosa che non per niente si chiama “mezzo gaudio”. Leggo, mi informo, e neanche questo basta. Nascondo la mia insicurezza in un piccolo taschino. E poi abbraccio, scrivo bigliettini rassicuranti, rivelo all’oggetto del mio amare di voler loro bene più di tutti gli universi. Ma tutti gli universi saranno abbastanza per sentirsi abbastanza?

 

 

20 pensieri su “Camminare sugli assi

  1. La verità in tasca non ce l’ha nessuno, si cerca di fare del proprio meglio…si sbaglia e ci si corregge, in fondo si cresce con i propri figli! 😉

    Buon pomeriggio 😊

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  2. Ciao Chiara, camminare sulle assi … una bella metafora… Ho trovato delle affinità con questi racconti di Andre Dubus, che sono raccolti in “Ballando a notte fonda”. Non so se l’hai già letto. Un grande abbraccio
    w/r

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  3. Il tuo camminare sulle assi mi ha fatto ricordare quello che ho pensato quando ho visto degli uomini camminare sui tronchi trasportati dalla corrente, mentre trasferivano il legname su di un fiume.
    Per quanto riguarda l’essere mamma e porsi così tante domande, riflettere su ciò che si fa e si decide, beh, si va per tentativi: la mia ha 32 anni, e sono ancora lì a chiedermi se ho fatto in passato ciò che era giusto, se avessi potuto fare di meglio (anche se non posso lamentarmi del risultato, tirando le somme). Purtroppo non c’è una regola, né una scuola per noi genitori, si va per tentativi, sbagliando, rimediando, correggendo, ricominciando da capo ogni volta e sperando di non fare troppi errori.

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  4. Camminare sugli assi… Singolarmente queste tue riflessioni si affiancano proprio al mio post di ieri: anche io temo più i grandi “guai” possibili che le piccole stonature. Come sai quest’estate il mio universo materno è stato messo a dura prova, sono arrivata a questionare anche le caramelle, ogni gesto, ogni parola. Non erano più “assi” quelle su cui barcollavo, ma stuzzicadenti. E non è che mi stuzzicassero granché, a dirla tutta. Ma la mia personale risposta è che “amare non è poco”. Finché ti osservi e ti fai domande sei sulla strada giusta. Farsi domande è l’intelligenza dell’amore.

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    1. Ti ho letta e sono d’accordo con te. Su di me mi chiedo quanto, ad un certo punto, sia corretto tenerle un po’ a freno tutte queste domande. Forse c’è un momento in cui abbassare il volume agli infiniti dubbi. O no?

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      1. Credo che le domande, come le emozioni, siano preziose, ma non debbano annientarci, annullare la nostra solidità che, da qualche parte, c’è. Credo anche che a volte (parlo per me) siamo più prese dalle domande che dall’osservazione: se osservi le tue figlie (e so che lo fai), spesso hai le risposte. Il resto va come va, con la fiducia che abbiamo un margine di manovra, e l’umiltà di sapere che a volte sarà necessario cambiare qualcosa, ma che niente è irreversibile.

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  5. In effetti mi stupisco nel sentirti dire che sei un tipo insucuro perché dai l’idea di una che cammina sui sassi altro che assi. Detto questo ho talmente tanta fede e stima in te che ti vedo camminare anche sui luoghi più impensabili e con i ruoli più difficili (essere mamma ad esempio) con il giusto equilibrio 😉

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