Un giorno qualsiasi

Un giorno qualsiasi, ho un appuntamento di lavoro alle 10 in via Po. Anticipo la sveglia per non tardare. Ormai sono arrivata a svegliarmi due ore prima rispetto al momento in cui la famiglia deve uscire di casa per non arrivare in ritardo alle rispettive destinazioni. Il cubo rosso suona alle h 6.15, per poter varcare la porta con un minimo di serenità poco più di due ore dopo. A volta faccio il calcolo assurdo di una vita parallela in cui una versione di me single deve essere semplicemente al lavoro alle h8.45. Mi sveglierei alle 8, ma sarei probabilmente più infelice. Forse questa mia fettina di felicità la pago proprio 1,45 ore di sonno al giorno, non mi sembra un prezzo esorbitante.
Arrivo in piazza XVIII Dicembre alle 9.35, dopo essere passata in ufficio a ritirare dei documenti che mi sono necessari. Dovrei prendere il 13, ma non mi va. Decido che 25 minuti sono più che necessari per raggiungere a piedi il mio appuntamento. L’aria è fresca e pulita, dice di una neve caduta non molto lontano. Percorro un tratto di via Bertola. Le serrande dei negozi sono chiuse, una parte della città ancora dorme e mi piace ancora di più, perché non c’è un’intimità più profonda che il guardarsi dormire. Certo non posso cedere all’impulso irrefrenabile di comprarmi la versione nera di quel paio di scarpe che ho già marroni, ma nascondo questa impossibilità dietro a un sobrio rifiuto e mi sento immediatamente una che sa il fatto suo in fatto di forza di volontà. Passo per vie secondarie, mi piace scoprire insegne di negozi mai visti prima. Cammino a passo svelto, ma vengo idealmente doppiata da moltissimi ciclisti, dotati di shared bike o muniti di proprio velocipede. Sono eleganti, specie quelli che tengono la sella alta e allungano tutta l’articolazione del ginocchio durante la pedalata. Io non riesco, devo avere il suolo a portata di piede anche solo con la punta, anche solo in apparenza. Giro in via San Francesco D’Assisi, guardo in là, non le vedo ma so che oltre l’arco di portici verso Piazza del Conte Verde da qualche parte ci sono le Porte Palatine. Giro in via Monte di Pietà, una volta c’era un negozio di sete indiane, ma non lo cerco. Ritorno sui miei passi, decido di percorrere Via Barbaroux. Questa zona della città m’è spesso sembrato un presepe, non so esattamente perché, a pensarci la similitudine non regge. Il porfido mi piace è insieme geometria e irregolarità a seconda se considera due o tre dimensioni dello spazio. C’è una signora in giro col suo piccolo cane, mi fa quasi invidia perché quelle strade sono la sua casa e il porfido il suo pavimento. Il negozio di lane mi coglie di sorpresa come un ricordo. Esattamente il ricordo dei gomitoli comprati perché nonna Bis confezionasse le due copertine per i gemelli in arrivo. Mi concedo un frammento di Piazza Castello, anche se non è esattamente quello che mi va in questo momento. Una ragazza cattura la mia attenzione perché ha dei meravigliosi capelli mossi, selvaggi e in ordine allo stesso tempo. Penso alla mia terra di mezzo: i miei capelli mossi non sono mai stati contemporaneamente sciolti e in ordine, semplicemente perché li maltratto. Vivo il mio rapporto con loro di rari slanci e pochissima perseveranza. Un amore che se fosse di carne e non di cheratina non durerebbe a lungo. Imbocco via Po, è un attimo che io sia arrivata. Ma il mio appuntamento dura il tempo di una firma, un meraviglioso rossetto rosso che trascende le mode (quello della mia interlocutrice) e cinque minuti dopo sono di nuovo fuori. Cambio strada, la metro voglio prenderla a Porta Nuova, così avrò più tempo per finire le poche pagine del libro che mi ha travolta qualche giorno fa e non accenna a volermi lasciare. Un libro che sono insieme felice e tramortita di aver letto. Via San Francesco da Paola, via Bogino, via Principe Amedeo.  Rubo con gli occhi immagini di cortili nascosti. L’erba in Piazza Carlo Alberto è appena stata tagliata, profuma di inatteso. Mi sento giovane ed è solo ieri sera che mi sentivo vecchia. Digerisco la cena fuori misura, mi fermo per un caffè americano. Scriverei un romanzo su due piedi, mi chiedo come la gente critichi tutti quelli che hanno romanzi nei cassetti. Io credo che chi critica non abbia mai scritto una storia, non sa il carico di emozione che genera generare mondi. Criticare uno che scrive per piacere è come trovare da ridire a uno che si prende bene con la corsa e ci va tutte le sere perché sa che lo fa stare bene, nonostante sia faticoso. Vorrei tramutare quel che provo in un piccolo post della serie degli esercizi di lentezza, ma questo spazio di un’ora non ha a che fare solo con questo, ha a che fare con lo stare con me, col camminare liberi, col desiderare, con il respirare, con la sospensione, con l’assenza di rumori che distraggono. Con un giorno qualsiasi, di sole.

23 pensieri su “Un giorno qualsiasi

  1. Bello, bello, bello questo post! Quanti libri immaginari ho scritto osservando il piccolo mondo attorno a me, e invece poi ho cristallizzato quelle poche emozioni in poche parole sul blog o sul diario, per tenere stretta a me quella felicità così trasparente e così delicata. Ho passeggiato con te, leggendo, e ho respirato un po’ della tua stessa serenità presente.

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  2. ma non l’hai nominata? A me è piaciuto e la narrazione ha il giusto ritmo. Mi ha divertito la tua descrizione delle vie, peccato che non sono di Torino forse sarebbe stato più divertente poter immaginare il percorso in modo più reale 😉

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  3. Mi hai regalato 5 minuti di lentezza e di passeggiata per Torino, ho sentito il naso pizzicare per l’aria fredda e umida della città che ancora dorme per metà.
    Sarei curiosa di sapere qual è il libro che ti ha rapito tanto.
    E anche, com’è che la gente riesce a criticare pure le cose belle, sane e che non fanno del male a nessuno? Misteri del lunedì.

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