Portfolio

Una volta qualcuno, leggendo un qualche cosa che avevo scritto, si è convinto che fossi una pedagogista e si è premurato di farmi delle (legittime) obiezioni su quel che credeva fosse stato pensato da un educatore professionista.

Qualche volta qualcuno particolarmente generoso mi chiede quando scriverò un romanzo, pensando che io, per il fatto che pubblico sul web contenuti poco strutturati, possa essere in grado di costruire per bene una storia. Mi sa che scrivere narrativa è un mestiere e va imparato.

Talvolta mi capita, invece, che la mia, seppure piccola, autorevolezza professionale -quella del mio lavoro vero, che non è né il pedagogista né lo scrittore- venga messa in discussione. Sì, mi tocca a volte di difendere il significato del cercare di capire come funziona, reagisce, è fatto il mondo. Che i meccanismi della natura vadano ancora compresi e che ci sia qualcuno che dedica del tempo e fa spendere soldi per farlo non piace a tutti. Forse ci stiamo infilando pian piano in una distopia simile a quella in cui Montag brucia libri. O forse la scienza è davvero alla frutta.

Una lunga e inutile introduzione per il punto dove voglio arrivare. Non sono pedagogista, non sono scrittrice, non so nemmeno se sono scienziata. Però un portfolio di cosette ce l’ho.

Nel mio portfolio, aggiornamento 2017, ci sono:

– un albero di Natale brutto; rivendico il diritto insindacabile di esibire decorazioni natalizie indegne di un bel soggiorno o di una foto instagrammabile
– il dubbio che nel mio modo di educare ci sia troppo spazio per il cercare di preservare i miei confini più che per aprirli completamente alla crescita altrui
– due paia di scarpe dello stesso modello di colore leggermente diverso
– il desiderio di essere come tutti, unito alla presunzione di essere diversa da tutti, seguito dalla consapevolezza che non c’è mai stato nessuno uguale a un altro
– due volte di fila qualcuno che mi ha dato della rompicoglioni dal profondo del cuore
– una volta che ho dissuaso con calore uno sconosciuto dal comprare kiwi neozelandesi nel banco dell’ortofrutta
– una volta, settimane dopo, che ho rinvenuto su un kiwi comprato da me un piccolo adesivo con la scritta”New Zealand”
– il pudore improvviso di far leggere quello che penso, quello che faccio
– una citazione sconvolgente e piuttosto amara da un libro su cui non sono ancora riuscita a mettere le mani, ma manca poco
– il non saper essere leader
– un pensiero che dopo tanti anni mi ha naturalmente abbandonato
– una visione
– diverse deroghe comportamentali a principi che consideravo insindacabili, col risultato di aver ampliato la mia personale scala di grigi
– l’aver realizzato che nel tentare di educare qualcun altro, il primo della lista a subire un cambiamento sei tu, che poi sono io.

Nel mio portfolio non ho ancora trovato qualcosa, qualsiasi cosa, che valga per tutti.

 

 

 

 

10 pensieri su “Portfolio

  1. Fantastico. Dovrebbero fare così anche i CV. Te lo immagini? Comunque – come potrai immaginare – mi ritrovo alla grande in questo: ” il desiderio di essere come tutti, unito alla presunzione di essere diversa da tutti, seguito dalla consapevolezza che non c’è mai stato nessuno uguale a un altro”. Solo che la presunzione di essere diversa a volte è più un peso, una macchia di fabbrica più che un buon marchio di fabbrica.

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  2. Il pudore di far leggere quello che penso e il desiderio di essere come tutti, rivendicando allo stesso tempo la propria diversità sono nel mio portafolio. E poi un romanzo chissà 😉 Magari con una buona idea riesci a buttarlo giuù 😉

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