Ci son periodi in cui si è più inclini ad assorbire i comportamenti altrui, a rilevarli con maggiore capacità di captazione, ad esserne più vulnerabili.
Frasi estemporanee, come quella di una mamma sconosciuta, di cui non conosco che l’istante della sua storia che avviene estemporaneamente a favore delle mie orecchie. Come un “Fai come vuoi, ma sappi che la mamma non è contenta della tua scelta” rivolto a una piccola bambina che non riesce a non toccare maldestramente tutti gli oggetti che ha intorno e cerca con gli occhi l’approvazione materna mentre sposta l’ennesima sedia di un locale affollato.
Come un “È che se stai diventando grande e tutto è più difficile da grandi” per incoraggiare un bambino in età scolare alle prese con i primordi di un senso di inadeguatezza di fronte a un compito, probabilmente proprio scolastico, che gli è stato affidato.
In periodi così, frasi come queste mi innescano catene di pensieri, su quello che io stessa sto dicendo in giro, alle mie figlie e non solo. Sul peso che le parole portano con sé, la loro scia permanente di significato. Ma è davvero vero che un bambino deve rendere felice la sua mamma? O che diventare grandi è una guerra?
È vero, sì, la mia felicità personale dipende fortissimo dall’esistenza sul pianeta Terra di Signorina A, Mademoiselle C, Miss T.
[È vero anche che di recente ho conosciuto un’artigiana strepitosa, mia coetanea, con la quale abbiamo avuto una godibilissima conversazione fino a quando “Ah, hai un blog? “Beh, sì, una cosetta personale, niente di impegnativo” “Sarai mica di quelle che parlano solo di quanto è bello essere mamma e robe così?” “Chi? Io? Ma nooooooo, figurati”].
Ma godo anche di molto altro. Che mi rende felice in una misura diversa, certo. Sono diventata grande e sono felice. È probabile che questo dipenda in larga parte dal fatto che lo fossi anche da piccola. Ma è anche vero che crescere non significa necessariamente andare alla guerra. Specie se si ha la fortuna di non avere dei seri motivi per andarci, ecco. Mettere in mano uno scudo e una spada a delle creature che si affacciano alla loro crescita, forse non è una grande idea. Io dico che le mani – per lavorare, creare, aiutarsi, accarezzare, fare conchetta e berci acqua fresca , dire no, sostenere la testa, cullare, aprire un ombrello nei giorni di pioggia – sono già abbastanza. Insomma, hanno già tutto quel che farà loro dare frutto. E anche noi, spesso, abbiamo molto di quel che ci occorre. Avrei deciso di accorgermene e, pensa un po’, esserne felice.
[Illustrazione di Fernando Cobelo https://www.fernandocobelo.com/%5D
Mi piace come la vedi 🙂
e come lo dici.
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mezza, sei uno dei miei metri di “stucchevolezza materna”: la tua approvazione significa non aver oltrepassato la linea della melensaggine 🙂
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Il miele lo detesto se stilla tra righe banali
la dolcezza delle mamme, mi piace sempre se è sostenuta dal buonsenso (che è anche quello capace di produrre scritti non deficienti).
Sarà che voi mamme che mi piacciono, siete un po’ il mio punto debole, non avendo avuto grande fortuna nel dipartimento 🙂
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Che equilibri e che fortune sono richieste ai genitori: di essere felici, e sereni, per avvolgerci i figli e farli crescere nella felicità e nella serenità.
Personalmente non sono sicuro riuscirò a essere felice e sereno, nella quotidianità a volte feroce, nel traffico, la fretta, l’inadeguatezza di fronte a un compito enorme e inumano.
No, troverò una soluzione e un dialogo e cercherò di farci una risata sopra, ma so già che felicità e serenità saranno solo momentanee, e ci saranno tante altre cose nel mio essere genitore, successi ed errori, gioie e dolori, ma fa piacere leggere che qualcuno un po’ di felicità la coltiva 🙂
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tutti lo facciamo! (coltivare il nostro spazietto di felicità)
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sono d’accordo con te sul fatto che diventare grandi non è ansare un guerra, non è di per sé una cosa brutta e non dovremmo educare nostri figli cine se questa fosse una guerra (su quest’ultima parlo un po’ a vanvera perché a dufferenza di te purtroppo non sono genitore)
Rimango però convinto di una cosa….se potessi chiedere un desiderio foese chiederei di tornare bambino, l’epoca per me più belka in assoluto
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