10 righe

Maestra Erodaria, che poi sono io – colpo di scena!- sta scrivendo da alcuni mesi un nuovo sito. Ma forse alla fine non è lei a scriverci dentro, Erodaria, questo mio alter ego letterario che mi sdoppia e al contempo mi completa, ma sono proprio io, quindi passo dalla terza alla prima persona in sole tre righe di post.

La cosa più difficile tra le tante che ci ho scritto dentro è, da mesi ormai, quella in cui devo scrivere chi sono in 10 righe. Dieci righe appena, che potrebbero pure essere, in fondo, sufficientemente superficiali da risultare verosimili e neanche troppo vere, sai che cosa gliene potrà fregare ai lettori. E invece, il resto lo scrivo non senza difficoltà, ma con un’energia che non conoscevo (indosso sempre un anello motivazionale con la scritta “write everyday” e, adesso, cazzo lo faccio veramente). Ma quelle dieci righe, niente da fare, mi piegano come Atlante sotto il peso della Terra. In un primo momento non volevo nemmeno scriverle, autosabotavo la mia presenza sul sito stesso (ché il sito è condiviso e non sarebbe stato difficile, in fondo, occultarmi per un po’), poi le ho scritte, le ho corrette un po’ con le altre mani che curano il sito e poi ancora le ho tolte. Ora non ci sono, in attesa che mi torni il coraggio.

Chi sono, io, che non riesco a scriverne? Per me è stato tante volte intimamente vero quel che diceva la buona vecchia Flannery O’Connor: “Io scrivo perché non so quel che penso finché non leggo quel che dico“. Ma adesso? Ho paura di scriverne perché ho paura di quel che leggerò?

Di recente, una persona al contempo vicina e lontana, che conosco da sempre e che da sempre conosco poco, senza che questo mi impedisca di volergli bene, mi ha detto una cosa che mi ha colpito di brutto, diciamo pure impressionato. Si chiedeva, questo mio amico, come lui avesse da sempre potuto vivere suo padre, insegnante, come una persona impossibile, mentre gli allievi, ogni volta che lo incontravano invariabilmente gli dicevano frasi del tipo: “Tuo padre è un angelo“, “Magari potessi essere io figlio di tuo padre“, e via così. Lui si è sempre sentito sbagliato, non all’altezza della versione migliore di suo padre, che invece era riservata agli allievi.

È di questo che ho paura? Ma soprattutto la storia di questo padre-insegnante c’entra davvero qualcosa col discorso di partenza? Io sono sempre io da qualunque parte mi si guardi? Forse è proprio questo il punto. Pirandello, mortacci tua.

Quel che è vero è che il mestiere che sto imparando a fare richiede delle attenzioni emotive e relazionali altissime, niente a che vedere con quanto ho fatto finora. E che questo impegno, unito agli altri 78956 progetti che ho in piedi, devia parte delle mie attenzioni dalle mie ragazze e questo mi rimbomba nella testa come un grandissimo sensone di colpona, maledetto e stramaledetto. Era meglio quando non ero felice del lavoro che facevo e, come in una specie di negativo fotografico, mi faceva usare tutti i colori più belli in famiglia? Forse per certi versi, mi dico, sì. Ma – mi dico anche- oggi uso tonalità molto più fighe, che prima tenevo incellofanate in un cassetto senza luce.

Chi sono? L’altro giorno una bambina di seconda A mi ha regalato un disegno, sul quale ha messo un piccolo sticker con la lettera “C”. Una sua compagna le ha chiesto di avere anche lei la sua piccola iniziale, che era la lettera M. Quando ce l’ha avuta, poi, non la voleva più e l’ha data a me. Al che le ho risposto che okay, la M è anche molto la mia lettera, perché due dei miei ruoli preferiti sono Mamma e Maestra. Allora è questo che sono?

Vado in giro tutti i giorni con una minuscola C al collo, ma se qualcuno mi chiama Chiara mi allarmo. Perché mi chiama col mio nome? Che poi è pure un bel nome, magari fossi in grado di calzarlo come si deve. Oscura, dovrei chiamarmi. La gente che mi incontra per strada potrebbe dirmi: “Ciao, Oscura, sempre confusa?“.

Chi sono? Sono quello che so e so fare? O sono quello che mi piace? Sono forse un faggio, un caffè, un romanzo americano? Sono le mie idee sul mondo?

Niente, con buona pace di Flannery, neanche oggi scriverò le mie 10 righe.

(in foto: una creazione di https://www.instagram.com/nuove_abitudini/)

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