Ero Daria

Essere teen negli anni 90 significa aver vissuto un’adolescenza popolata dal pool di Mani Pulite, dalle pubblicità progresso per la prevenzione dell’AIDS, dal Tom Hanks di Philadelphia e di Forrest Gump, dalla Cecoslovacchia che diventava due, dai videoclip, dagli Hutu e i Tutsi, dall’assedio di Sarajevo, dai Nirvana, dalle boy band, dai romanzi di Stephen King, dalle bambine di Non è la Rai.

Ma mentre ero lì, impegnata ad adolescere, mi sono vestita dei panni di un bel po’ di gente.

Sono stata, come credo il novanta e più percento delle femmine della mia specie, Francis Houseman, detta Baby. Non la sono stata per via del suo senso della giustizia, del suo probabile futuro da primo presidente donna degli Stati Uniti d’America, della sua ostinazione danzante. Lo sono stata perchè incarnava la riscossa delle ragazzette minute, senza tette e con il naso grosso, che vengono notate e follemente amate dal bellimbusto di turno, portatore sano di pettorali glabri e definiti, ma per il resto abbastanza insignificante. Che poi, diciamocelo, di first gentlemen maestri di mambo, non è che la storia ce ne abbia regalati tanti. E infatti la scaltra Francis se lo aggiudica rapinandolo alle milf del campeggio, ma poi non è che abbia tutta questa intenzione di portare quella storiella estiva al di là dell’equinozio d’autunno (non fosse per la famosa storia del toglierla dall’angolo, eccetera eccetera).

Sono stata Sam Baker di Sixteen Candles, la rossa attrice dei pomeriggi di Italia 1 di fine scuola. In comune con Baby aveva una sorella primogenita bella e urticante e l’inarrivabile fortuna di essere notata dal gran figo della scuola, che alla fine la preferiva addirittura alla biondazza capa delle cheerleader. Una sceneggiatura così banale che era un capolavoro a cui a quindici anni, con costellazioni di brufoli sulla fronte e degli occhiali di metallo color oro, era impossibile resistere.

Sono stata un insospettabile Alex D. a cavalcioni della bici in discesa in una Bologna che non avevo mai visitato ma che sentivo immotivatamente mia. La storia con Aidi la profumiera che mai gliela diede manco a morire era di fatto tenerissima. Ma la vera identificazione dentro al Jack Frusciante di allora era circa l’impossibilità di una relazione. Cioè Alex D impersonava la totale assenza del principio di autoconservazione che, una volta diventati adulti, ti preserva dalle relazioni impossibili. Lui invece no, stava lì e aspettava Aidi, imperterrito nel suo sentimento poco corrisposto. E finiva per pensare che “Se niente li avesse separati fino al momento della partenza, sarebbe stato come Ricky Cunningham presidente degli Stati Uniti o come suonare l’attacco di Foxy Lady con la Strato in fiamme uguale preciso all’attacco su disco del vecchio Hendrix. Sì. Il nostro diavolo d’un uomo ci avrebbe creduto. Ci avrebbe creduto tutti i giorni, e per sempre” con cui vergavo le pagine della Smemo e i circuiti del mio sistema limbico.

Mai pesato più di 50 kg (limitatamente agli anni 90 s’intende), ma per un periodo sono stata persino la donna cannone, anche lei col suo bel bagaglio di amori non corrisposti, senso di inadeguatezza e avvilente autocommiserazione. No, per lei nessun maestro di mambo o quarterback redento, solo tanta ciccia e indifferenza generale.

Ma più di tutto, sono stata Daria. Anzi, azzardo, ero Daria, con l’imperfetto adatto all’indeterminatezza di un’azione che si prolunga nel tempo.
La delfina dei Mongerdorffer non solo ha un’aura da disadattata. La sfiga è la sua forza. È una sfigata sprezzante, che ha ammantato la sua insicurezza di un irresistibile cinismo. Ha degli aculei affilatissimi, una voce monocorde e un lessico molto ricercato, totalmente inadatto alla sua età. Daria guarda il mondo da fuori, ha troppa paura che sia affar suo. Sputa sentenze sulle vite degli altri, guardandosi dal viverne una veramente sua. Avevo la mia Jane, avevo un Trent da guardare e non toccare.

Ho smesso di essere Daria diverso tempo fa, ma la sua giacca verde è un capo che di anno in anno mi torna in mano nei cambi dell’armadio e non ho mai pensato di buttarla via.

28 pensieri su “Ero Daria

  1. anche io sono stato per un certo periodo il vecchio Alex, e forse non ho mai smesso di esserlo in una piccolissima parte. Bologna poi l’ho vista e ho anche vissuto lì il mio periodo universitario e ogni volta che riconoscevo un posto descritto in quel libro mi sorprendevo come un bambino.

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  2. Incantata dalla tua presentazione. Non so perché la mia adolescenza è passata ignorando volutamente Baby, ma tutte le altre ce le ho! Colpita soprattutto dal fatto che anche tu ti sentissi Alex D., altro che Aidi la figa. 🙂

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  3. Fantastica. Anche io mi riconoscevo tanto in daria (e in alex, in baby no e non so perché) e moltissimo nelle tue parole. Ah, ai tempi registravo religiosamente tutti gli episodi che potevo. Ho atteso invano li mettessero in dvd, maledetti!

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  4. Ciao! Purtroppo non ho mai visto Daria perché il fato mi ha privato di MTV tra il 1996 e il 2005, ma sono stata in bici con Alex D (su quella strada no, che ci si ammazza in fondo, ma in altre discese bolognesi comunque rispettabili), sono stata nell’angolo con Baby, sono stata alla finestra con Sam e sono stata anche al bancone del negozio di dischi con Andie Walsh in Pretty in Pink e sulla strada con Watts in Some Kind of Wonderful. Forse ci sono ancora su quella strada con Watts… Piacere!

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