Buon Gusto o denaturato?

pollicino-O

Da bambina mi capitava, specie prima di abbandonarmi al sonno, di sbrigliare i pensieri nello sconfinato territorio a cavallo tra il conscio e l’inconscio e di lasciare che galoppassero liberamente in un flusso incontrollato. Poi a un certo punto, se non mi addormentavo prima, riprendevo in mano le redini e, dal punto in cui erano approdati i miei pensieri, provavo a tornare indietro fino alla partenza. Come Pollicino alla ricerca dei suoi sassolini, ripercorrevo a ritroso tutti le associazioni dall’ultima alla prima, riavvolgendo pian pianino quel gomitolo di sinapsi. Era divertente. A dire il vero, lo è ancora.

L’altra sera uscendo dalla doccia, nel compiere gli automatici rituali di asciugatura e vestizione, i pensieri viaggiavano indisturbati a ordire piani per l’organizzazione dell’immediato futuro domestico, i cui allegri echi filtravano attraverso il buco della serratura. Mentre ero lì ad asciugarmi la pancia, senza pensare minimamente a lei e senza nemmeno vederla, ho realizzato di punto in bianco che quella pancia era mia.
Mia, mia.
L’ho riconosciuta. Per la prima volta dopo sei anni e nove mesi, ho la certezza di essermi dimenticata del ventre liscio e piatto che avevo prima di diventare mamma. Non ricordo più la sensazione di avere i retti perfettamente adiacenti, la pelle perfettamente aderente ai muscoli, l’ombelico perfettamente definito, la cute senza imperfezione alcuna. Il mio cervello ha finalmente indossato la mia pancia reale, quella che è ora, quella con il reticolo di smagliature, quella coi retti che hanno ingaggiato una relazione a distanza, quella che ha perso le rigidità giovanili per una più morbida maturità.
La mia mente si è riallineata al mio corpo, con mia grande meraviglia.
Allora, non ho potuto fare a meno, per una qualche stramba associazione di idee, di pensare a quella signora che abbiamo incontrato domenica nel delizioso borgo di montagna dove abbiamo pranzato in compagnia. Una signora con un sorriso vivace e imperfetto, un disordinato caschetto argento, gote rosse rigate dalle rughe. Una signora che ho trovato delicata ed elegante, nel suo pile nero costellato di pelucchi.
Cosa la rendeva così aggraziata?, mi son dovuta chiedere. Penso francamente fosse il suo essere al ritmo con la natura. Quella del giardino intorno alla sua casetta, quella del cielo le cui nuvole in arrivo promettevano la prima neve dell’anno, quella delle montagne intorno a lei. Ma soprattutto la sua. Era elegantemente canuta e spettinata, elegantemente rugosa. E così, inaspettatamente, ci ha aperto le porte di una deliziosa veranda vetrata affacciata sui monti, per offrirci un liquore  orgogliosamente fatto in casa.
Ed ecco che i miei pensieri hanno fatto un altro salto. Il liquore della signora sarà stato fatto con una di quelle bottiglie di alcool che si trovano sugli scaffali del supermercato.
Lo stesso alcool, l’alcool etilico, quando è al suo alto grado di purezza si chiama Buon Gusto, costa un bel po’ ed è buono per conservare i sapori e i profumi delle nostre estati, che ci scaldano cuore e esofago nelle sere invernali. Se poi l’alcool etilico lo allontani da quel che è, lo denaturi, diventa di un fucsia particolarmente kitsch, lo paghi due lire e diventa buono solo per lavar pavimenti.

Ma…da dove erano partiti già i miei pensieri?

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