Ho trascorso un’intera mattina ostaggio di pratiche burocratiche, di quelle circostanze che mi mettono tanta ansia e pochissima soddisfazione, se non quella di averle portate a compimento. Due ore in banca, un’ora a completare l’iscrizione alla secondaria di Mademoiselle C, un’ora di corsa per fare altrettanto con quella di Signorina A. Mi sono molto innervosita durante le due ore in banca, ostaggio di un qualche malfunzionamento di sistema, salvati dalla gentilezza di una direttrice, che i colleghi uomini chiamavano direttore (innervosendomi). Mi sono molto innervosita nel compilare i form delle scuole delle ragazze, contenuti per entrambe le scuole in cartelline rosa per le femmine e cartelline azzurre per i maschi, come se fossimo tornate al reparto maternità. Ma sono stata molto rallegrata da quell’operatrice che, di fronte a un timido ragazzino che portava da solo un foglio che mancava al suo dossier, si è rivolta a lui usando la parola “gioia”.
Vivo, come tutti, “in the wild of changing things” e le mie cose che cambiano sono tantissime, incluso il fatto che mi innervosisco molto di più di un tempo e non sono più la persona gioiosa e paziente che sono stata in altri momenti della mia vita. Certo, il passaggio al vegetarianismo mi ha abbassato ferritina e B12 a livelli incompatibili col buon umore, ma sebbene sapere che ci sono cause organiche intorno alla mia ombrosità mi rassicuri un po’, so in cuor mio che c’è dell’altro.
Ho letto di recente dentro ad una interessante riflessione altrui che la cosa più importante da mostrare a un bambino o a una bambina è il bello di essere adulti. Mi è sembrata al contempo una cosa bellissima e una cosa impossibile. Essere adulti può anche voler dire trascorrere intere mattinate ostaggio della burocrazia, avere a che fare con momenti nei quali si diventa indecifrabili a sé stessi, riporre aspettative in luoghi dove non possono germogliare e la colpa non è mica di nessuno e tu lo sai, perché sei adulto e un’idea di come vada la vita te la sei grosso modo fatta.
Sono sollevata che giugno se ne sia andato, con quel suo modo brusco e un po’ villano di recidere l’anno scolastico e sbriciolare il confort delle settimane cadenzate, dei progetti quotidiani. Non sono brava a vivere l’estate, oggi ne parlavo con Signorina A perché capisse il mio modo brusco di reagire a queste settimane che mi fanno sentire le gambe malferme. So che passerà, in parte è già passato, questo senso di ferritina, b12, certezze vacillanti. Cerco davvero l’estate tutto l’anno, ma poi quando arriva non la voglio, non è lei sono io. E poi ne scrivo continuamente, ogni anno, quasi a liberarmi di un’ossessione che tanto non se ne va. Quest’anno il cuore delle vacanze sarà un cammino: chissà se guardare i piedi, godere di paesaggi nuovi, lenti e faticosi, immergermi in un esercizio di meraviglia e sudore mi rinforzerà i quadricipiti e il miocardio. Chissà se riuscirò a disarmare me stessa di quegli strani meccanismi secondo i quali noi adulti finiamo per attribuire agli altri la responsabilità di colmare buchi che sono solo nostri, come se facessimo finta di non sapere che è una sciocchezza aspettarsi sé stessi dagli altri.
Nel frattempo, continuo a provare a fare esercizi di poesia. Prendendo spunto da una lettura, provo a scrivere anche io la mia poesia. Prendo una manciata di parole, apparentemente lontane tra loro, e vedo come riesco a starci dentro. Estate, amicizia, domani, insieme, attesa, pazienza, ritorno.
𝑁𝑒𝑙𝑙’estate 𝑠𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑔𝑖𝑎𝑐𝑐𝑎 𝑎 𝑣𝑒𝑛𝑡𝑜,
𝑚𝑎 𝑠𝑡𝑜 𝑎 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 𝑒 𝑚𝑎𝑛𝑖 𝑛𝑢𝑑𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙’𝑖𝑛𝑡𝑟𝑒𝑐𝑐𝑖𝑎𝑟𝑒 legami.
𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎 domani 𝑚𝑖 𝑓𝑎 𝑖𝑛𝑎𝑏𝑖𝑠𝑠𝑎𝑟𝑒,
𝑟𝑖𝑒𝑚𝑒𝑟𝑔𝑜 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑐𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎 insieme.
𝐿𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎 presente 𝑙𝑎 𝑔𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑎 𝑡𝑎𝑟𝑔ℎ𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑒𝑟𝑛𝑒; 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 responsabilità 𝑚𝑖 𝑠𝑖𝑒𝑑𝑜 𝑢𝑛 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑎𝑙 𝑔𝑜𝑣𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑒 𝑢𝑛 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒.
𝑆𝑡𝑟𝑖𝑧𝑧𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖 𝑒 𝑟𝑖𝑒𝑠𝑐𝑜 𝑎 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑖𝑠𝑠𝑖𝑚𝑎 𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎 attesa,
𝑝𝑜𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑜 𝑙𝑜 𝑠𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑣𝑖𝑐𝑖𝑛𝑜, 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑒 𝑚𝑖𝑛𝑢𝑠𝑐𝑜𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒, 𝑎𝑏𝑏𝑎𝑔𝑙𝑖𝑎𝑡𝑎, 𝑖𝑛 𝑐𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑖𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑒𝑑𝑜 𝑝𝑖𝑢̀, 𝑚𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑒𝑡𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑖̀, 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑝𝑎𝑧𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎, 𝑎𝑑 𝑎𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑚𝑖𝑜 ritorno.

Sì, viviamo “nel selvaggio cambiamento delle cose”. Pensa a me che, 75 anni già compiuti, ho dovuto, e devo ancora, ogni giorno adattarmi ai veloci cambiamenti che ci sono di questi tempi tenendo conto che vengo da altri secoli (da bambina non c’era neanche la luce elettrica nella fattoria dove abitavo). Il computer, lo smartphone, le pratiche digitalizzate, la banca che ora non mi permette più di prelevare denaro dal mio conto corrente alla cassa, ma solamente con bancomat (io emetterò assegno a me intestato e vedremo se non me lo pagano), per avere un passaporto o una carta di identità bisogna farne richiesta con mesi di anticipo, per avere i medicinali dal medico di base lo devo fare tramite e-mail e tramite Whatsapp alla farmacia…..la digitalizzazione avrebbe dovuto semplificare le cose…ovviamente le ha semplificate solo per i truffatori che usano questi sistemi “ad arte”. Consoliamoci, da bambina ho imparato a leggere alla luce della lampada a petrolio e scrivevo con cannuccia pennino e inchiostro. Ora uso il computer. Ti abbraccio forte e condivido i tuoi “innervosimenti”.
"Mi piace""Mi piace"