Nel piccolo, nell’immenso

Parlare dell’immenso dolore di Gaza può portare con sé sentimenti scomodi; provo a tirarli fuori da me:

– la comodità di farlo dentro alla propria situazione di privilegio (mi fermo e mi dico: per riconoscere e denunciare l’ingiustizia e il dolore, è necessario soffrirne di uguali?)
– l’inutilità pratica di ogni pensiero di denuncia (mi fermo e mi dico: un pensiero resta indubbiamente più utile di ogni non pensiero)
– un senso di disparità nei confronti di decine di altri drammi (mi fermo e mi dico: faresti mai a meno di soccorrere una delle tue figlie o unə dellɜ bambinɜ a scuola perché sicuramente in una qualche parte del mondo qualcun’altrə non riceve la medesima attenzione?)
– la situazione è complessa e per questo inconoscibile in tutti i suoi aspetti (mi fermo e mi dico: non perdere il senso del giusto e dello sbagliato, non relativizzare tutto nell’oceano della complessità; sai ancora dire che infierire su un gruppo di persone impendendo il soddisfacimento di bisogni essenziali e del proprio progetto di vita è sbagliato).

Per cui, mi fermo e dico ancora una volta:
basta al dolore, e in particolare basta al dolore innocente, ma basta anche all’abuso instancabile della vendetta
basta alla violazione dei diritti umanitari sanciti a livello internazionale da un’umanità che ha voluto e vuole diventare migliore e non imbestialirsi
basta alla furia cieca, alla fame

Mi fermo, ancora, e provo a promettermi: coltiverò compassione nel piccolo, mi forzerò alla pace nel piccolo, raddrizzerò le mie ingiustizie nel piccolo, riconoscerò lo spazio sacro dell’altro nel piccolo. E se succederà nel grande, gioirò immensamente.

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