Come lo racconterei a mia nonna?

Illustrazione tratta dal libro "Una nonna tutta nuova"di Elisabeth Steinkellner, Michael Roher (Terre di Mezzo, 2012)

Mia nonna A., quando passeggiava per i viali fasulli del nuovo centro commerciale costruito qui nei paraggi nei primi anni Novanta – il più grande d’Europa, si diceva allora– era solita chiedersi che faccia avrebbe fatto sua nonna E., se mai avesse potuto vedere quello sfacciato sfoggio di modernità.

Immaginava con tenerezza la sua incredulità.

Ora sono io a pensare a loro, a mia nonna A., che il mondo tecnicamente non lo vede da vent’anni, e a mia nonna G., che è rimasta indietro di quattro, ma ha fatto in tempo già a perdersi molto.
Mi viene da immaginare come spiegherei loro tutto quel che nella mia vita ruota intorno a internet.
Fino a ieri avevo un profilo facebook, un blog wordpress, una pagina facebook legata al blog wordpress, un profilo twitter legata al blog wordpress, un profilo skype, un profilo linkedin, un profilo researchgate.

Skype, WordPress e Facebook li uso regolarmente. Ed è venuto il momento di spiegarvi onestamente perché. Non lo capirete, facilmente, nonna A. e nonna G., ma internet è una nazione invisibile, forse un pianeta, il decimo del sistema solare, volendo per affetto tenerci stretto ancora un po’ Plutone. E su questo pianeta ci sono dei luoghi di aggregazione, come andare alla processione della Madonna o ai banchetti di Santa Croce, per capirsi. Come quando ti metti il vestito della festa, ti fai un po’ più bello di quello che sei in media nei giorni della settimana e dell’anno, perché sai che incontrerai molta gente e vorrai fare bella figura. E magari ti compri le caramelle morbide e il croccante. Ti fermi a parlare con questo e con quello; non riesci a fare due chiacchiere con tutti, qualcuno lo guardi soltanto, vedi da lontano quanto è dimagrito e invecchiato, scopri che ha un nuovo fidanzato o una bimbetta in carrozzina.
Il problema di questi posti è che, se accade qualcosa, qualsiasi cosa, ti viene un’incontrollabile voglia di dire la tua. Anche quando non ne sai nulla, o quasi. Piano piano è come se si alzasse un chiacchiericcio, quasi insopportabile, in cui è difficile distinguere le singole voci, figurarsi afferrare le parole. Si indossano spesso i panni altrui, ma non per un utile esercizio di empatia, quanto per indicare in maniera implacabile quale sia la decisione più corretta da prendere. Tutti giudici, o allenatori, o storici, o sociologi, a seconda di quale evento di stia commentando.
Poi succede una roba un po’ stranotta, ora che ve la racconto, in cui si critica chi critica solo per il gusto di criticare. Un po’ come faccio io, ora.
E si urla, oh come si urla. Si urla mentre si scrive, questa è una cosa che faticherete a capire. Le insospettabili signore delicate che quando si siedono alla tastiera si trasformano in terribili Salomè assetate di teste umane adagiate su vassoi d’argento. Immaginano di risolvere il mondo con metodi medievali, sono molto fantasiosi nello stilare strategie di torture, piani di distruzione collettiva, scenari di contenimenti forzati. Forse lo capirete meglio se pensate a un qualunque uomo tranquillo che, quando sale in auto, protetto dalla sua bolla di lamiera, si abbandona al turpiloquio più efferato, certo che la sua aggressività non sbavi nel mondo reale, quello fuori dall’abitacolo. Tu ne leggi il labiale, ne subisci i colpi di clacson, poi fai tintinnare il tuo bicchiere al suo ad una cena e ti chiedi se sia la stessa persona. Forse non era lui, era uno con la macchina uguale. Che a cena ti sembra quasi di potergli parlare, mentre non oseresti mai opporti al suo ringhio mentre è al volante, non sapresti farlo ragionare, non riusciresti a comunicare con lui nemmeno un po’.

Come dite, nonne? Oh sì, sì, avete ragione voi, questo pianeta di cui vi parlo non esiste davvero. E no, questi luoghi che frequento giornalmente non hanno nessun odore, non producono ricordi particolarmente preziosi da custodire, nemmeno permettono veramente di dire qualcosa.
Cosa dovreste averci capito voi di tutta sta roba? Non saprei. Vi dicosa cosa ho capito io: che le fiere di paese vengono una volta l’anno e non è bene esagerare con le caramelle, croccante, chiacchiere e fatti altrui.  Va bene, chiudo per senso di decenza twitter e tento di sbarazzarmi della pagina fb del blog. Per il resto, datemi tempo.

L’illustrazione tratta dal libro “Una nonna tutta nuova”di Elisabeth Steinkellner, Michael Roher 

27 pensieri su “Come lo racconterei a mia nonna?

  1. Certo che è molto facile fraintendere o essere fraintesi commentando o esponendo sui social 🙂 sono su fb, ho il mio blog, uso skype per le videochiamate con mio figlio e stop! non mi iscrivero più a nessun altro social……beh sai io ricordo le mie nonne alle prese coi primi televisori e telefoni…vedo lo stesso con mia madre ed il pc…..Buona giornata

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  2. Che non abbiano nessun odore è vero, che non producano ricordi non ne sono sicura, anche perché io sono vecchio stile, per cui quando sento affinità con qualcuno mi viene immediatamente voglia di prenderci insieme un caffè non virtuale e nel frattempo comunque ci “chiacchiero”, come farei con una conoscenza che avrei piacere di trasformare in amicizia. Cerco per quanto possibile di non urlare sulla tastiera (forse urlo di più in casa con marito e figli) e le teste altrui le lascio volentieri al loro posto. 🙂
    E’ vero che a volte è difficile distinguere le voci e le parole, ma io penso non sia sbagliato far sentire una voce sommessa e parole più “dolci” anche quando il rumore è assordante, prima o poi da qualche parte arrivano 🙂
    Buona serata
    Alexandra

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    1. anche io ho trovato un’amica preziosa sul web…diciamo che forse è comunque bene curare a fondo la realtà che produce odori e ricordi e lasciare ai social la loro piccola e giusta nicchia (forse sto parlando più a me stessa che ad altri 😉 )

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      1. Eh, ma ne prendono di spazio e tempo, non è facile porsi limiti, ne so qualcosa 🙂
        Però devo dire, non ho neanche tanta voglia di porre limiti perché mi sta dando veramente tanto in questo momento (parlo del blog, non degli altri social). Scrivere è comunque vitale per me, e lo scambio, per quanto virtuale (ma sempre fino a un certo punto, perché in molti scambi si va in profondità) è prezioso (anch’io sto parlando a me stessa) 🙂

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  3. Ciao Chiara, leggo e capisco molto, e sento e vivo in parte quello che hai scritto…è difficile porsi dei limiti e talvolta il tempo che dedichiamo ai social pare superfluo e rubato agli attimi di vita vera! Il blog è un’altra cosa, ho incontrato parecchie persone interessanti, belle, come te…e siete spesso nei miei pensieri. Anche questa è vita! Un abbraccio

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  4. Beh il paragone con la festa di paese è decisamente azzeccato 🙂 devo ammettere che anche per me ogni tanto il rumoriccio di fondo diventa fastidioso e più di una volta ho pensato alla necessità di essere così social connessa. Per il momento funziona con i giorni di allontanamento. Ma è strano doverselo imporre. Le nonne ci guardano con incredulità, questo è certo: spiegare alla mia che lavoro su internet è stata una delle cose più difficili che abbia dovuto fare.

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