Il mio onomastico agostano ha un sacco di vantaggi, tra cui svetta il fatto che se lo ricordano in molti perché il mio nome mi lega indissolubilmente a una donna di una certa fama, una fuoriclasse della santità. Santa Chiara non solo ha fatto coppia fissa con la superstar dei santi di tutti i tempi, mio personale idolo adolescenziale, ma fa pure il paio col patrono delle stelle cadenti. Impossibile dimenticarla.
Personalmente ricevo più regali e auguri che al mio compleanno, che, cadendo poco dopo Capodanno, soffre tremendamente dei buoni propositi di sobrietà che seguono i bagordi natalizi.
La ricorrenza quest’anno ha fatto affiorare i ricordi di una persona in particolare: il parroco del paese di campagna dove ho festeggiato tutti gli onomastici della mia infanzia.
Don Roberto è fra quelli che non mancava mai di farmi gli auguri e spesso era tra i primi, dato che la canonica affacciava sul giardino di mia nonna. Per la precisione quel che affacciava era il filo da stendere di Don Roberto, con la sua serie di calzoni neri al vento. Erano auguri collettivi per me e per la mia sodale di tutte le vacanze di campagna dell’infanzia, mia cugina I., che, sebbene lei ora lo disconosca, aveva un onomastico proprio adiacente al mio. Qualche volta ci comprava una coppetta di gelato, di quelle confezionate, più bi-colore che bi-gusto. Questa era una delle cose belle che ha unito le nostre estati e le nostre vite.
Don Roberto era figlio di emigranti italiani. Nato in Argentina insieme a numerosi fratelli, era stato letteralmente estratto a sorte come colui che avrebbe studiato da prete. Una vocazione guidata dal caso, che lui raccontava candidamente.
Nelle sere d’estate lo si incontrava sui tavolini di Fredo, il bar della piazza, mentre giocava rumorosamente a carte coi compaesani. Rubicondo e godereccio, era autore di leggendari sermoni, alcuni dei quali riproposti identici negli anni. L’incipit di quello su Santo Stefano lo ricordo per filo e per segno, tante volte l’ho sentito nella vita.
Gli stessi compagni di briscola che vedevo col naso rosso di vino e le maniche della camicia arrotolate, li ritrovavo il giorno dopo in chiesa con gli abiti della festa perfettamente stirati.
In genere chiacchieravano sul sagrato per poi entrare al Sanctus – in genere intonato da un vecchio giradischi gracchiante- e continuare imperterriti a chiacchierare. Sulla navata destra, ché a sinistra c’erano le donne.
Non era infrequente che, nella solennità della celebrazione, fasciato dentro ai suoi paramenti dorati, Don Roberto li riprendesse dal pulpito con dei “Vè (tipico intercalare del luogo), Semino (tipico cognome del luogo), adesso stai un po’ zitto”.
Di Don Roberto era la voce che si spandeva per il paese dall’altoparlante dopo che le campane avevano suonato lungamente da morto nei rarefatti pomeriggi col sole a picco. Cominciava con tono piuttosto professionale, declamando con voce lenta e solenne: “È deceduta (seguivano cognome e nome)… di anni (seguiva età)… vedova di (seguiva nome del defunto marito)” per poi virare verso più prosaici e spesso dialettali “ma sì, era quella lì che abitava vicino al cimitero“.
Ogni tanto partiva per l’Argentina, poi ritornava a giocare a carte da Fredo e a stendere pantaloni neri al vento. La sorte di esser prete l’aveva forse accettata e tutto sommato interpretata con una certa maestria. Sicuro era uno che potevi dire far parte di una famiglia, della famiglia che mi sembrava essere, allora, quel piccolo paese arroccato su un’altrettanto piccola collina.
Bello, bellissimo! Brava, Bravissima!
(Ti rendi conto che hai scritto una pagina d’antologia? Tranquilla, non ho bevuto a pranzo)
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Grazie Guido!
Non so, sto provando a fare un esercizio di semplificazione della scrittura, perché mi sono resa conto ogni tanto di cadere nell’autocompiacimento lessicale. Mi farebbe piacere, se poi vorrai, se mi dessi il tuo parere sul mio percorso di “semplificazione”. E grazie di nuovo!
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Anch’io ho l’onomastico nel tuo stesso giorno!
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brava, hai risvegliato dei ricordi!
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Grande Ginny, che commenti!
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Auguri in ritardo tesoro, ma io con gli onomastici sono un disastro (un po’ come con il resto delle cose). E comunque che strana atmosfera hai regalato, quasi da film anni 50 , quelli in bianco e nero. Grande! Un abbraccio
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Grazie Rom! ❤
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Non sapevo di questa ricerca di semplificazione, in verità a volte ho pensato che fossi un po’ complessa, ma, soprattutto, leggendo questo (e ignara di tutto) ho pensato “bellissimo!”, così, al cento per cento.
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Forse allora l’esperimento sta funzionando! grazie Maddalena e buon Ferragosto!
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