Talvolta vengo risucchiata in un imbuto al contrario, come se ci fosse un aspiratore appoggiato nella sezione ad area maggiore, quella che solitamente sta in alto. Questo aspiratore cosmico è generato dal fluire dei miei pensieri e l’innesco può avvenire in un qualsiasi momento della giornata. In genere, tuttavia, mi capita di azionare involontariamente l’interruttore quando mi trovo da sola in un luogo affollato. Che praticamente, per come è montata la mia vita oggi, si tratta per lo più del supermercato.
Guardo gli sconosciuti e li vedo, sbagliando, come una moltitudine brulicante e non come una somma di distinte unicità. Il risucchio che mi fa risalire dall’imbuto comincia e io mi ritrovo sul soffitto dell’ipermercato a guardarli dall’alto, come tanti piccoli Umpa Lumpa occupati nel procacciarsi il necessario per la cena, scegliere un abito adatto all’ennesimo colloquio che non andrà come sperano, svagarsi un po’ dagli affari tristi della vita.
Il processo di risalita dal collo dell’imbuto è inarrestabile, per cui in un attimo mi ritrovo più su. A questo punto non posso già più sentire il menù scelto per cena dagli avventori del supermercato. Mi trovo a guardare la città dall’alto, con le sue luci e i suoi bui, con le auto, le gambe e le teste che compiono ogni giorno un tragitto noto. Ognuno in fondo perso dentro ai fatti suoi, non dissimili dai fatti delle altre creature di cui incrociano quotidianamente le traiettorie. Sono veramente piccole, viste da lì, le ragioni che li spingono a quelle traiettorie. Non vedo già più i loro volti, non distinguo lacrime né sorrisi.
I pensieri si alzano ancora un po’, vedo la penisola intera, la bellezza, le faglie, i dolori, i rami dei laghi, le luci dei vulcani accesi.
L’imbuto non ha pietà, continua senza stanchezza a spostare il punto di osservazione, spogliando di significato ogni cosa, via via che me ne allontano.
Distinguo l’Europa e tutto quello che gli sta intorno. Non c’è traccia di Brexit, di procedure di infrazione, nessun attacco terroristico si può percepire da quassù. Guardo da un lato, non mi riesce di scorgere nessun barcone tracimante di umanità dolorante, c’è solo un bel blu che lambisce confini che ho imparato a decifrare nelle prime pagine di geografia alle elementari. Guardo dall’altro, vedo terre adagiate che m’hanno insegnato a chiamare culla per l’uomo. Non sento venti di guerra e distruzione, c’è solo una piccola brezza quassù. Guardo laggiù, dove ci son molte luci accese, ma anche deserti e fiumi e montagne rocciose. Né stelle, né strisce, né soffitti di cristallo ancora da infrangere, non si vede che un gradiente di colori dal bianco dei ghiacci al giallo, al rosso, al verde, al blu. Tanto blu. Non ci si crede quanto sia blu. Vorrei nasconderli sotto la giacca, tutti quei colori, per proteggerne quella bellezza silenziosa che si vede da questo punto dell’imbuto.
Non faccio in tempo ad aprire le braccia per contenerla, quella bellezza, che salgo salgo e anche quel blu perde il suo significato, non lo vedo più in mezzo a miliardi di pianeti di tutti i colori, a stelle potenti che non si riesce nemmeno a immaginarlo, da quanto son lì.
Sono arrivata all’imboccatura dell’imbuto. Siedo coi piedi a penzoloni. Tutto è buio intorno, non riesco più a distinguere niente, né con gli occhi né col cuore. Niente sembra avere luce, niente importanza.
– Mammaaaaaa– sento scalpitare tre voci festanti dal piano di sopra, mentre suono il campanello al ritorno dalla spesa. Le luci sono accese in cucina, il signor Pàpici avrà già messo a bollire l’acqua per la pasta.
Basta una singola parola perché l’imbuto scompaia nel suo vuoto cosmico, perché tutti i colori tornino a brillare, perché la vita si rivesta del suo trasbordante significato.
Sai “disegnare” bene la vita.
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(oltre a essere non tutta perfettamente centrata, ndr)
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alla fine con la tua forma riesci a comunque a passarci nell’imbuto, io mi ci incastro
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assumi una posizione aerodinamica, con braccia e gambe allungate, chiudi gli occhi, trattieni il fiato e…flop!…è un attimo passare!
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va beh giusto perchè giocamo de fantasia 😉
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Hai portato anche me in questo viaggio a ritroso. Una vertigine che lascia senza fiato.
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e poi si torna sempre giù, a vedere le cose con giusta vicinanza e trasporto 🙂
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fantastico! staccarsi dalle cose, guardarle da lontano non sempre può essere meglio… mi piace… micipiaceunbelpo’ 🙂
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la distanza aiuta la comprensione oggettiva, a discapito del trasporto emotivo (a volte è un bene, a volte, come dici tu, lo è un po’ meno)
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credo sia molto utile allontanarsi e avere un altro punto di vista, guardare le cose da un’altra angolazione… però in fondo sono anche quelle emozioni che rendono il nostro sentire veramente “nostro”…
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Mamma funziona sempre ❤
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