Non c’è sempre una prima volta

Sabato scorso, sarebbe davvero strano non ne parlassi qui, mi è accaduta una cosa fuori dalla mia ordinarietà. Niente di speciale, in senso assoluto, ma per me un po’ sì.

Dentro al nuovo numero di una rivista letteraria torinese, che si chiama DieciCento, è apparso un mio racconto. Lo sapevo da tempo e questa specie di nuovo inizio, o piccola soddisfazione, me lo centellino da mesi.

Il numero della rivista è stato presentato in una delle librerie torinesi indipendenti. Una libreria bella, dove talvolta vado nonostante non sia nei circuiti della mia quotidianità. A Torino abita un piccolo patrimonio di librai incredibilmente in gamba.

Mi è apparso fin da subito, mettendoci piede, che io ero un pesce fuor d’acqua, accanto ad autori premiati, editori eccellenti, pubblico di livello. Tuttavia, l’atmosfera era distesa e poi a me non è mai dispiaciuto troppo essere principiante. È un’utile stampella cui mi sono spesso aggrappata, anche quando è stato il mio turno di sedere accanto agli editor e alla madrina del numero.

C’erano gli amici e la mia famiglia in mezzo al pubblico, mi sentivo al sicuro. C’era un grande sostenitore che sorrideva dietro a una barba rossa, in fondo alla sala.

È stata la prima volta che un modesto sogno ha preso forma, la prima volta in cui ho parlato in pubblico di storie che scrivo, la prima volta in cui ho sperimentato che quello che uno immagina di avere scritto prende una forma diversa per chi lo legge.

Non è vero che c’è sempre una prima volta e invece questa volta sì.

Finito di leggere l’incipit del racconto sono tornata nel pubblico per ascoltare gli altri autori, immediatamente, senza far rumore, Signorina A, Mademoiselle C e Miss T sono arrivate ad abbracciarmi. Senza parlare, mi si sono accoccolate in braccio.

Alla fine della presentazione, una signora elegante, mi si è avvicinata con gli occhi che le brillavano:

– Signora, complimenti-

– Grazie-

– Voglio dire, brava per quel che ha scritto, ma che bella la sua famiglia. Le sue bambine sono meravigliose-

– Vero-

Verissimo. Non c’è niente che possa venirmi meglio di questo.

(Il racconto Mi chiamo Maddalena è nel numero 2 di DieciCento, scaricabile qui: http://rivistadiecicento.it/leggi-la-rivista/)

33 pensieri su “Non c’è sempre una prima volta

  1. Ho letto il racconto: oltre a notare che è scritto benissimo, posso dirti che la leggerezza disarmante con cui parli di sentimenti profondi, e di un rapporto conflittuale nel quale talvolta si cade, fa capire perché è stato premiato. Brava!

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  2. Ciao, è il terzo tentativo che faccio … i primi due li ha cestinati da solo il tuo sito a metà strada, forse perché scrivevo da un tablet. Adesso mi sono messa al pc: voglio proprio vedere…
    Io sono una tua fan. Sono iscritta alla mailing list per non perdermi niente, perché quello che pubblichi mi piace sempre. E’ stato interessantissimo vederti all’opera su un altro formato.
    In questo racconto secondo me tu cambi completamente stile, o meglio lo depuri, lo rendi anodino. Tutti quei particolari che nei post sembri trovare con tanta facilità, particolari unici che rendono vivida la scena e ce la fanno immaginare ma anche ci dicono tante cose su cosa vuoi che ne pensiamo, spariscono. Non so se è proprio per questo, ma Maddalena e sua madre mi sembrano meno vive delle altre persone/personaggi di cui parli nei post.
    Più generiche. Più letterarie. Certo che è ben scritto ma… ecco, è letterario. Come se avessi voluto immaginarti e farci immaginare com’è vivere tutta la vita odiando tua madre e poi recuperarla alla fine per senso di dovere (o quel che è), ma non avessi un’esperienza vissuta completa di riferimento. Come se facendo il salto da un formato all’altro avessi voluto rinunciare a tutto quel che ti rende unica.
    O era lo sforzo di lasciare aperta la storia? Di tessere un non detto?
    Naturalmente avrai provato a prendere i tuoi post e a costruirci intorno un racconto. Non funziona? O non ha senso? Non è interessante? Mia curiosità.
    Quando è un po’ che non arrivano più tue notizie mi preoccupo un po’ e spero fortemente che non abbia deciso di lasciar perdere. Mi piace anche la tua misura, l’impressione che dai di scrivere solo quando c’è qualcosa da scrivere, di non scrivere mai a vuoto. Anche questo racconto non era a vuoto. Tocca tante cose. La gelosia. Come i genitori non si rendono conto. Come certe cose sentite per caso possono condizionarti tutta la vita. Come ci siano cose che non si riescono a dire e che si possono esprimere solo senza parlare. La sparizione della mente. Chi sta intorno alla persona sparita. Però non mi tocca, non mi tocca abbastanza.
    Sei come un cioccolatino, dai una certa dipendenza. Ciao, please scrivi.
    Maliva
    (Ah e io a quella donna del pubblico vorrei dare un colpo in testa. Ma come si permette di venire a complimentarsi… per la tua bellissima famiglia, in un contesto simile? Quando hai appena letto un racconto che hai scritto? In una sala conferenza deputata a presentarvi? Grr)

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    1. ciao Maliva, piacere di conoscerti (o ci conosciamo già nella vita reale? Dal tuo nickname non saprei riconoscerti).
      Grazie mille delle tue letture sul blog e anche del racconto.
      Accolgo con interesse le tue osservazioni. Provo a rispondere ad alcune, anche se forse, mi dirai, non è necessario.
      Innanzitutto, non potrei -né lo vorrei- scrivere nessun racconto a partire dai contenuti del blog. Il blog è vita reale, che mi sembrerebbe strano stravolgere o piegare in un altro formato narrativo.
      A un certo punto, forse per un passaggio naturale, è nato l’interesse per la fiction, la narrativa. Ho scritto qualche racconto, questo è il primo che viene pubblicato, ma quest’anno dovrebbero uscirne ancora un paio. Mi è venuta voglia di provare anche il romanzo, ma mi pare per ora un’impresa impossibile. Credo che entro una certa misura rientri nella normalità che le persone di cui parlo nel blog ti paiano reali, semplicemente perché lo sono: sono persone reali, che realmente hanno fatto quel che racconto. Nel racconto le due signore e i personaggi di corollario sono inventati, sono letterari, proprio come dici. Mi spiace non essere riuscita a consegnare loro la profondità che desideravo, ma spero di avere tempo e modo di migliorare!
      Ho scoperto che inventare mondi è almeno altrettanto emozionante che descrivere i tratti di quello che viviamo. Ti abbraccio e spero continuerai a leggere i miei contenuti! Chiara

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