Parole, silenzio

A volte le parole si svuotano, diventano palloncini sgonfiati dal sole e dal tempo.
E quando le parole perdono la loro pienezza, il loro appassire finisce per portare con sé, nella dimenticanza, dentro a stanze di polvere, anche i significati che un tempo urlavano l’energia della loro piena fioritura. Quando le parole sono lise dal troppo stare ferme in un luogo preciso, bisogna avere il coraggio di toglierle da lì, trovarne altre che abbiano ancora il potere di accendersi. Quelle vecchie, poi, finiscono per rifiorire altrove.

La mia forma di resistenza contro l’usura della parole parte da una piccola lista, destinata a crescere e crescere:

– non siamo necessariamente esseri speciali, ma siamo senza alcun dubbio creature uniche, questo vale per noi, per gli altri, per ogni situazione o relazione
– siamo unici ma siamo anche molteplici, a volte in un modo a volte in un altro, e siamo sempre noi
– nella stragrande maggioranza dei casi, quando diciamo che non abbiamo tempo la verità è che non abbiamo la volontà di trovare quel tempo (non c’è colpa in questo, è solo una cosa da mettere a fuoco davanti a noi stessi; quando lo metti a fuoco anche sugli altri, quando ti dicono che non hanno avuto “tempo di” , in alcuni casi sapere che, invece, non c’è stata abbastanza “voglia di” può far male, come tutte le verità; ma poi passa)
– basta dire che i capelli sono biondi come il grano: forse li possiamo pensare biondi come una weiss, o come una maniglia in ottone; esercitandoci a lasciar andare le parole vuote, ci alleniamo anche un po’ guardare la realtà così com’è, almeno per noi
– la resilienza la lascio all’ecologia, io dico che ognuno di noi ha dei modi di cambiare forma per restare intero o di ricomporsi dopo essere andato in frantumi
– io non faccio mai brainstorming ma vivo in una continua raccolta libera di idee
– in una preziosa conversazione nel bosco con la mia amica N, lei e io abbiamo usato per almeno cinque chilometri una stessa parola intendendo due cose diverse. Quella parola era aggressività: io la usavo con accezione negativa, di violenza, lei positiva, di autoaffermazione e alla fine, devo dire soprattutto grazie a lei, ci siamo capite.

Penso al mio elenco in continua evoluzione e mi viene in mente che in verità le parole stesse, le stesse parole, hanno il potere di risuonare in noi in maniere differenti in chi parla e in chi ascolta; e ancora: se ad ascoltare è più d’uno, ognuno sentirà diversamente e questo al momento provoca in me un grande immenso caos, fatto di suoni che in nessun modo compongono qualcosa di comprensibile e men che meno gradevole. Sperimento in modi diversi tante, piccole e grandi, vere o presunte, impossibilità comunicative. E mi dico che se in questi mesi lo sperimento così tanto, questo ha a che fare con me stessa più che con gli altri.
Sarà che è un periodo di grandi confusioni per me, ma non riesco a fidarmi nemmeno più di loro, delle parole, ed è un gran guaio.
E allora provo a cercare il silenzio.
Taccio, tengo per me.
Perdo un po’ la capacità di raccontare e, con lei, di ascoltare profondamente i racconti altrui.
Ma provo a stare dentro a questo silenzio esteriore e a guardare negli occhi la mia confusione. Nel frattempo non smetto di sperare che tutto questo groviglio di suoni un giorno si trasformerà in parole e quelle parole lentamente faranno una nuova storia che io saprò di nuovo raccontare.

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