Ho il culo tecnologicamente pesante

Primo cellulare blu elettrico oltre i vent’anni, ottenuto con una raccolta punti e mantenuto a lungo in condivisione con mio fratello.

Primitivi approcci col pc ai tempi dell’Università.

No connessione internet domestica. (Prima di strabuzzare le labbra in un sorrisetto di commiserazione nei confronti del nostro ménage antediluviano, provate per un attimo a pensare alla soddisfazione di poter lasciare senza possibilità di replica i milioni di callcentristi spacciatori di offerte telefoniche, dichiarando con noncuranza che “No, noi internet non lo usiamo in casa. ” E poi chiedere con tono un po’ naïf “Ma perchè, non avete un’offerta senza internet?” Per infine assistere ad un susseguirsi di balbettanti “Si,no, ni, ma, boh”. FIno a godersi l’assoluto trionfo del “clic” conclusivo autoinfertosi dal mortificato callcentrista).

Sullo smartphone ho due app di numero. Credo costituisca una specie di record.

Insomma, non sono nemmeno lontanamente una nativa digitale. Mi si potrebbe piuttosto definire una parvenue digitale.

Le novità tecnologiche entrano nella mia vita sempre seguendo un identico percorso:

1. La novità viene lanciata e io non me ne accorgo.

2. Dopo qualche tempo, vengo a contatto con questa novità grazie agli amici più evoluti. Non desta in me alcun interesse, ma ascolto con cortese assenza il loro entusiasmo circa quell’oggetto/programma/applicazione.

3. Trascorre almeno un anno. La quasi totalità di chi mi sta intorno, fatta eccezione per mia mamma, usa ormai da tempo quella che continueremo a chiamare novità, ma che è ormai caduta inesorabilmente nella più buia obsolescenza tecnica. Inizio a pensare che potrei usarla anche io.

4. Dopo un paio di mesi, decido di provarla. Ne sono terrorizzata. Se è un oggetto, lo accendo e poi lo spengo immediatamente, in preda alle palpitazioni. Se è un’applicazione, o una rete di condivisione (vedi Facebook, vedi Twitter, vedi Instragram, vedi Whatsapp) mi creo un account con la velocità di una testuggine greca appena morsa da un taipan. La salivazione è azzerata, i vari carpi e metacarpi intorno allo zero termico. Appena mi si palesa il risultato della mia iscrizione al social, vado su Google e digito “Come cancellare irreversibilmente, per sempre, senza possibilità di ritorno il mio account”. Lo cancello con lo stesso stato d’animo di un sopravvissuto alla peggiore invasione di zombie antropofagi della storia.

5. Dopo un trimestre di disintossicazione dal primo spaventoso tentativo, comincio infine ad usare la novità (!) tecnologica.

Stamattina, mentre esco di casa di corsa, mi ricordo nell’ultimo istante utile (anzi, in quello dopo) che stasera dovrò passare a fare la spesa. In un colpo di genio antipanico afferro il telefono e fotografo la lavagnetta di ardesia su cui sono solita annotare i pezzi mancanti dalla dispensa. Mentre lo faccio, mi sento la Rita Levi-Montalcini della lista della spesa, una pioniera dello scontrino, un’amazzone della sporta, una specie di visionaria del carrello, capace, con l’ausilio della tecnologia, di saltare a piè pari il passaggio del foglietto di carta.

Dopo aver lasciato le ragazze all’asilo, sola in auto, accendo la radio. Parlano delle app per gestire la spesa, supermercati virtuali con catalogo di prodotti e la possibilità di organizzarlo in articoli e reparti  attraverso il codice a barre, condivisione di liste coi conquilini, registrazione della posizione della merce nel tuo punto vendita, possibilità di organizzare l’ordine dei prodotti al momento dell’insacchettamento così da ottimizzare il suo riposizionamento nel frigo e nella dispensa.

Spengo la radio. Ho capito. Con la tecnologia, non ho possibilità di essere la testa della corsa. Ho il culo tecnologicamente pesante.

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