Ungaretti, amico mio, hai scritto una delle poesie* più belle di sempre, mettendo in fila nove parole in croce e piazzandoci dentro una sciatta similitudine. Almeno ti potevi sforzare con una metafora. Invece niente, nemmeno uno straccio di figura retorica un attimo più sofisticata, eppure m’hai confezionato questo componimento di un realismo così crudo, fulminante e universale, da renderla indimenticabile. E, se la ricordiamo un po’ tutti, non è mica perché è corta e siamo stati tutti degli studenti paraculi. È proprio perché sei stato maledettamente bravo, con sole nove parole tra cui un misero articolo e due insignificanti preposizioni.
Hai giocato su questa storia delle stagioni, ché sicuramente anche tu, come noi, dentro all’autunno ci vedevi questa gigantesca metafora esistenziale, che infilato in mezzo alla fine dell’estate scorge l’inizio del tempo della fredda responsabilità. Si prende a fare le persone serie, in autunno, la si fa finita con l’essere degli spensierati giovani sciabattanti in infradito. Si indossano i doppiopetti delle responsabilità, i tailleur (chi io? no, si fa tanto per dire) dell’impegno indefesso, i clergyman degli obblighi quotidiani.
Ci fissiamo un corso di lingua per i mesi invernali, perché nella vita l’inglese si deve sapere, incastriamo due sedute di aquagym, per mantenere quel certo decoro corporeo, smettiamo di avere tempo per un libro o una passeggiata, perché è buona norma evitare come la peste di soffermarsi a pensare.
Viviamo l’autunno come viviamo la nostra età adulta: un autoarticolato di impegni, poco tempo per riflettere, qualche sguardo tra il malinconico e l’allarmistico alle foglie in bilico sugli alberi.
Lo scorso weekend sono andata a sbirciare una manifestazione di tessitura che è un appuntamento settembrino fisso della mia città. Donne da tutt’Italia, un pizzico di Europa e Mondo q.b. che mostrano i loro manufatti tessili. Donne che filano, infeltriscono,tingono, lavorano, intrecciano, cuciono, ricamano, passano il tempo, si conoscono, fanno rete, creano.
Per lo più, donne che invecchiano.
Donne che dopo una vita di obblighi lavorativi e familiari, hanno preso a fare quello che piaceva loro, a svuotare il loro autunno di responsabilità e a riempirlo di piaceri. Donne con lunghi capelli grigi e al collo collane di carta e vecchie t-shirt.
Donne belle, che a vederle ti vien una gran voglia di viverlo così, l’autunno. Quello di quest’anno e ma anche un po’ quello della vita.
(Che poi -mi chiedo spesso- chi vive in altri regimi climatici, dove magari c’è l’alternanza di una stagione secca e una monsonica, quale minestrone emozionale riuscirà a cucinarci intorno?)
*Soldati, 1918.
secondo me ai minestroni emozionali dei paesi di due stagioni ci pensa la pubblicità.
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dici che attraverso le pubblicità gli tocca di sorbirsi le nostre faccende quattrostagioni?
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Un po’ come in florida il natale bianco e innevato
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poracci, manco si possono confezionare una bella paturnia monsonica in autonomia
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Bellissimo post! Bellissime riflessioni!
Ma no no no noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo: mi sono persa quell’appuntamento che dici tu. Io l’adoro!
Dimmi che hai scritto il post l’anno scorso e che quest’anno le creative penelopi devono ancora incontrarsi?
Alla prossima spesa o meglio sarebbe alla prossima manifestazione di tessitura!
Valeria
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ciao! oh sì, è stata sabato pomeriggio e domenica tutto il giorno! ora ti tocca aspettare il prossimo anno…
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