La dispepsia degli addii e la quotidianità amica e cazzara

Non c’è proprio verso.

Dire addio mi provoca una grave disfunzione digestiva, vedasi il celeberrimo ovosodo di virziniana memoria. Quella roba che ti si pianta lì sulla bocca dello stomaco e non va nè su e nè giù. Non c’è rimedio possibile, almeno non ne ho mai trovato uno efficace. Qualche diavoleria che riesca ad educare il mio corpo a metabolizzare senza un dispendio enorme di tristezza l’allontanamento.

Alla notizia che per una qualsiasi ragione non vedrò più assiduamente una o più persone, fanno capolino nella mia esistenza sintomi variegati, tipo eruttazione continua, anoressia (okay, questa proprio no, non posso darla a bere a nessuno), bruciore, dolore addominale, ma soprattutto un’ enorme, gigantesca, ciclopica tristezza.

Che se esistesse un manuale in giro, tipo una Guida efficace a salutare con dignità un collega che cambia lavoro, io tipo me lo comprerei. Che se fai un lavoro come il mio, ad elevato tasso precario, ti capita almeno una volta ogni due anni di dover salutare qualcuno che fa le valigie verso un altro contratto.

Sarà un po’ perché ognuno che se ne va è un po’ lo specchio di te che te ne potresti andare, sarà che ognuno che se ne va lascia le sue cose da fare e un po’ toccheranno a te.

Ma tutto questo messo insieme farà sì e no un decimo della mia tristezza. Tutto il resto sono i caffè caldi, sono gli aneddoti faceti, sono le spalle su cui appoggiare la fronte stanca, è l’essere una squadra, sono i soprannomi taglienti, è l’oroscopo di Brezsny via Skype, sono le interminabili ore trascorse dietro lavori minuti e certosini, sono le lamentale che alla fine non si sa come diventano risate.

Tutto il resto è la quotidianità amica e cazzara. 

Dico poco? Io dico che è tanto, invece. A me personalmente la quotidianità amica e cazzara mi fa passare le giornate col sorriso, e in più di dieci anni di lavoro ce ne sono state tante di giornate. Che poi la tristezza è solo uno dei tanti indizi della bellezza. Per cui, fanculo la Guida efficace a salutare con dignità un collega che cambia lavoro, la mia tristezza oggi me la tengo tutta.

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