Dizionario adultoso/bambinese

Spessissimo mi chiedo come le mie bambine codifichino i miei comportamenti in questo momento, come li digeriscano, in che modo li archivino e chissà come eventualmente li rileggeranno da grandi.
Queste domande sono di frequente accompagnate dagli immancabili sensi di colpa che sono in grado di confezionare ardite profezie intorno alle prese di coscienza di una versione adulta di Signorina A, Mademoiselle C e Miss T che, sdraiate a mani giunte sul lettino di un analista, diranno freddamente cose del tipo “Sa, mia madre era una pazza“, “Era mortalmente fissata col congiuntivo“, “Magari era semplicemente un po’ depressa e non lo sapeva“, “Diceva continuamente di essere in ritardo“. E così via.

L’altra sera ho intercettato casualmente un frammento di conversazione tra sorelle. Ad un certo punto Signorina A è uscita dalla loro stanza per cercare qualcosa nel soggiorno e l’ho sentita chiaramente dichiarare:”Mademoiselle C, che ansia che mi fai venire!”.

Apriti cielo. Figurarsi il folle banchettare degli indomabili sensi di colpa al sentire quelle giovani parole. “Cosa avrà voluto dire?“, “Possibile che tu le trasmetta l’ansia già a 7 anni scarsi?“, “Che modello genitoriale di merda indossi esattamente?“. E compagnia bella.

Quando ero bambina, ricordo nitidamente i discorsi fitti tra mia mamma e mia nonna, che vivevano sotto lo stesso tetto, che poi era anche il mio. Sentivo spesso alcune espressioni cui evidentemente non ero in grado di dare un significato preciso. Una di queste, tipica di mia nonna (che parlava un dialetto spurio, crocevia di inflessioni piemontesi, liguri, emiliane e lombarde) diceva così: “A gal dig cèr e net“. Si riferiva a una certa necessità di parlare in modo diretto e comprensibile e di dire in modo “chiaro e netto”  una tal cosa a una tal persona. Lo devo aver sentito decine di volte, prima di quella in cui, mentre le due stavano cambiando le lenzuola del letto matrimoniale, ho preso coraggio e iniziativa per chiedere lumi. All’ennesimo “A gal dig cèr e net” ho finalmente domandato “Ma chi è questo signor Cerenetti a cui dovete dire tutte queste cose?“.

Nel mio dizionario adultoso/bambinese proprio non c’era traccia di questo misterioso tale, il Cerenetti, che di lì a qualche minuto, tra le legittime risate di mia mamma e mia nonna, ho finalmente realizzato non essere un vecchio signore ma una doppietta di aggettivi con valore avverbiale.

Ieri sera ne ho parlato direttamente con Signorina A, raccontandole di averle sentito parlare di ansia.
Eh sì, mamma, scusa, Mademoiselle C si soffiava il naso ogni due secondi!“, sbotta.
Ma tu lo sai cosa vuol dire la parola “ansia”, eh, Signorina A?“, indago.
Sì che lo so!“, protesta lei.
E cosa vuol dire esattamente?“, non demordo.
Beh, mmm, significa, mmm…
Significa essere un po’ affannati“, le suggerisco, condendo la frase con qualche respiro accelerato.
Ah, mamma, ho capito! L’ansia è come quando ci gonfi i braccioli al mare“.
No, quello è solo il respiro affannato, ma magari il cuore è tranquillo“.
Allora è come quando tu ci gonfi i braccioli al mare e noi ti diciamo continuamente di sbrigarti“.
Ecco, sì“.

Il dizionario adultoso/bambinese da ieri ha una nuova voce.

grammofono

Illustrazione di Cintascotch

10 pensieri su “Dizionario adultoso/bambinese

  1. Direi che a modo loro hanno capito eccome… Essendo una persona ansiosa, figlio di una donna ansiosa, mi chiedo se è possibile far cadere la mela un po’ distante dall’albero, e sfatare questo mito del frutto e delle radici.

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  2. Che bello questo tuo stralcio di vita.
    Ciao, ti auguro un bel fine settimana.
    P.S. non ti preoccupare troppo, tutte le mamme sono ansiose, preoccupate, insofferenti, rompiscatole, pignole….almeno a sentire i commenti di mia figlia.

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