A tratti riconosco in me un temperamento prudente. I momenti in cui lo capisco con maggiore chiarezza sono quelli in cui preparo una trasferta. Il disagio che mi deriva dall’abbandono temporaneo della quotidianità è la misura della mia prudenza. Ho fatto dei viaggi, alcune permanenze altrove medio-lunghe, mi sento idealmente cittadina del mondo, ma non guarisco da questa malattia. Quando anche altri riconoscono questa mia caratteristica, può capitare che lo combinino con la mia origine geografica, arrivando talvolta a definirmi una “Bogia nen”.
Qui è dove apro una lunga parentesi.
Un bugianen (prediligo una grafia rispondente alla pronuncia, ndr) è erroneamente definibile come una persona eccessivamente circospetta e poco amante delle novità. La storia, infatti, ci consegna un episodio eroico in cui l’esercito piemontese, durante la Battaglia dell’Assietta, all’ordine di ritirarsi perché in rapporto di 1:10 contro i francesi in avvicinamento, risposero così: “Da sì nojàutri i bogioma nen“, (letteralmente “noi da qui non ci spostiamo”) rifiutandosi di abbandonare gli avamposti. Di temperamento intrepido e caparbio, questi piemontesi, dunque.
Qui, invece, è dove chiudo quella parentesi.
Magari, fossi una etimologicamente corretta “bugianen“, magari. Invece, sono semplicemente attaccata a ciò che considero casa, come avessi delle sotterranee fondamenta particolarmente salde, come getti d’edera su vecchi muri ombrosi. Duri a morire.
Non appartengo alla schiera dei cervelli in fuga, per esempio. Il mio cervello è rimasto nei paraggi, insieme a intestino tenue, cistifellea e compagnia bella. Mi rode persino un po’ quando si parla delle materie grigie in trasferta come di specie di eroi, puri, alla ricerca della propria piena realizzazione altrove. L’altrove è il loro prezzo da pagare, chapeau per chi se la sente di affrontarlo. Penso, però, che anche nel restare ci sia dell’eroico, una specie di moderna resistenza, di tignosa ostinazione. Per loro, per noi, il prezzo da pagare, forse, è l’incertezza. Ma ogni cosa si fa per trovare la propria realizzazione, credo, e questi sono solo discorsi oziosi e nulla più.
A ventidue anni sono stata due mesi da sola in Burkina Faso, per capire se avrei voluto fare la cooperante nella vita, per spingermi con forza fuori dalla mia zona di confort. A ventisei, sono stata cinque mesi in Olanda, per imparare qualche segreto del mestiere che poi ho continuato a fare. Ho sofferto la distanza, poi l’ho addomesticata, piano piano. Tuttavia non mi ci sono vaccinata, quando mi si presenta la prospettiva di una distanza, mi si rialza di qualche cm il cuore, verso la gola. Forse, noi bugianen, o aspiranti tali, abbiamo solo bisogno di tempo.
Anch’io sono un po’ allergica alle trasferte, ma solo perché detesto i bagagli. Se potessi partire con niente e trovare tutto ciò che mi serve in loco, cambierei casa tutti i giorni.
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Che bello questo tuo scritto e quanto è vero: radici profonde per tenersi salde.
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Hai ragione soprattutto quando parli del coraggio che ci vuole a restare in Italia e fare ricerca. È una prova di resistenza umana!
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Io parto senza problemi, anzi, vorrei viaggiare anche di più. Ma solo a patto di ritornare presto. Il prezzo dei cervelli in fuga è l’altrove, sono d’accordo. Quelli che non capiscono questo non sanno quanto sia difficile e doloroso.
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