Piccoli propiziatori di figuracce pantagrueliche

L’innocenza dei bambini è arcinota. Quell’invidiabile attitudine a vedere le cose per quelle che sono, a non frapporre filtri maliziosi nella lettura della realtà.

Rimane vero, tuttavia, che quando il candore infantile entra in contatto con le piccole bugie cui ricorriamo talvolta noi adulti, la figura di merda è assicurata.

Prendete l’arte sublime del regalo riciclato. Non c’è nulla di male in fondo a rimettere in circolo un oggetto in perfetto stato che non incontra i nostri gusti personali. Ma, metti caso che uno dei tuoi figli fosse presente nel momento in cui hai scartato quel tal regalo e abbia memorizzato la tua smorfia di disgusto mentre ti affrettavi a riporlo nell’antro più nascosto dell’armadio. Capita poi che quello stesso bimbo che non è in grado di ricordarsi cosa ha fatto quel giorno a scuola (“Mmm, niente mamma, non abbiamo fatto niente”), dopo un numero di mesi esorbitante che nemmeno la stagionatura del parmigiano, mentre tu metti il pacchetto nelle mani di una cara amica, chiosando sfacciatamente “L’ho vista in vetrina e ho subito pensato a te”, ecco proprio lì in quel momento lui, quel bimbo innocente, è capace di dire “Ma mamma, non è quella sciarpina che ti ha regalato zia l’anno scorso a Natale e che ti faceva schifo?”.
Ecco, tu hai un bel dire a quel punto che “Ma no che dici, è che mi piaceva talmente tanto che ne ho comprata una uguale per te”. Sei paonazza. Balbetti. Ammettilo, ti sei appena fatta un’inenarrabile figura di merda.

Qualche anno fa, alla cena di Natale con capi e colleghi, ad un certo punto arriva una dirigente con prole al seguito. Mentre i due rampolli già corrono a slalom tra le sedie, lei, donna ricercata e stilosa, consegna a noi umili precarie addette all’organizzazione generale il suo contributo per la cena: una scenografica quiche perfettamente decorata con un abete di spinaci lessati con tanto di chicchi vermigli di melograno a mo’ di palline. Noialtre, che oltre ad essere umili precarie, abbiamo una doppia vita da apprendiste massaie, rimaniamo sinceramente estasiate dall’inarrivabile preparazione culinaria e riempiamo di elogi la raffinata dirigente. Lei per un po’ si schermisce nascondendo dietro le unghie perfettamente laccate a tema sobriamente natalizio (avrebbe forse potuto essere altrimenti?) un sorriso di timido compiacimento, poi sbraca decisamente fornendoci particolari circa la realizzazione del suo mangereccio attacco d’arte. A quel punto passa di lì distrattamente il minore dei suoi figli, in piena corsa durante una turbinante sessione di “celhai” e urla “Mamma, hai visto che bella la torta salata che ha fatto oggi la tata?”.
C’è da considerare che non solo è difficile un’uscita dignitosa di scena del protagonista di una palese figura di merda. Anche esserne dei semplici testimoni ti può mettere in seria difficoltà. Vai a trattenere una risata grassa e sfacciata di fronte a una dirigente, specie se sei un paria.

Ma il top della categoria lo ha raggiunto una volta un agricoltore presso cui conducevamo una prova sperimentale qualche anno fa. Il tizio in questione  non solo ha un nome e un cognome – entrambi contententi un assonante diminutivo vezzeggiativo- assolutamente sproporzionati alla sua ultraquintalica figura, ma è anche il campione provinciale di doppia bestemmia carpiata. Ciononostante ci teneva particolarmente a mostrarsi al meglio di se stesso ai nostri occhi di ricercatori ambientali. Ecco che un giorno, mentre eravamo nella sua azienda e stavamo conversando proprio con lui di pratiche colturali che minimizzino il rischio di inquinamento, si avvicina il bimbo. Avrà avuto sì e no sei anni e già conosceva più bestemmie di me. “Papi dove lo metto?” chiede mostrando il contenitore vuoto di plastica dura di un diserbante. “Portalo là dietro la casa” risponde lui. “Dietro dove, scusa?” insiste il piccolo scaricatore di porto. “Ma come dietro dove, dove ci sono gli altri. Che poi li portiamo in discarica” fa il babbo, con la bestemmia in canna.
Il bimbo ci pensa su un po’, si avvia trotterellando sul retro della casa con in mano il contenitore grondante le ultime gocce di diserbante. Poi si ferma, si gira verso di noi e urla il capolavoro: “Discarica, papi? Tu nemmeno sai dov’è la discarica. Me li fai sempre bruciare questi contenitori!“. A seguire l’enciclopedia universale e aggiornata del turpiloquio a tema religioso.

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