Amor proprio gastronomico

L’altra sera ho ricevuto l’sms di mia cugina che mi chiedeva come fosse andata la cena. La mia risposta è stata “Se si esclude che nessuno delle mie giovani commensali ha apprezzato minimamente il mio risotto al radicchio, tutto bene”.

Ora, non è che sia mai stata una gran cuoca. Ma non si può nemmeno dire che non me la sia sempre cavata senza infamia e con qualche piccola sporadica gloria.

Tutto questo fino a che non mi sono imbattuta negli essere umani col palato più incontentabile del pianeta. Coincidenza ha voluto che quegli essere umani siedano abitualmente alla mia tavola, mettendo costantemente alla prova la mia autostima culinaria.

Ogni mattina, dovunque ella si trovi, ciascuna madre italica di ogni ordine e grado ha tra i suoi primi pensieri quello di organizzare i pasti della giornata per i suoi cuccioli. E la sua giornata sarà punteggiata da diverse attività che la porteranno ad imbandire la tavola serale. Sulla metro ella si appunterà la lista della spesa sul retro del biglietto obliterato. Durante la pausa caffè, spulcerà qualche blog di cucina alla disperata ricerca di qualche ricetta innovativa. Uscita dal lavoro si catapulterà al supermercato. E, una volta a casa, si metterà all’opera districandosi tra le altre dozzine di incombenze che nessuno farà per lei.

È così, succede a tutte, succede anche a me.

Il problema è che l’esito di tanti sforzi emotivo-psico-chimico-fisici per quel che mi riguarda è nel 99% dei casi una débacle. Ho collezionato inenarrabili Caporetto in salsa verde, rovinose Waterloo al civet, cruente Termopili al cartoccio. Il restante 1% dei casi è dato da quegli sporadici casi in cui il mio quasi commovente attaccamento ai dettami nutrizionistici si piega ai desideri delle papille gustative di Signorina A e Mademoiselle C. È solo quando preparo loro la pasta in bianco che non ottengo lamentele e, anzi, qualche straccio di complimento. Però essere apprezzate per una pasta in bianco non è esattamente quel che servirebbe a risollevare il mio bistrattato amor proprio gastronomico.

Una sera che ho avuto l’ardire di mettere nei piatti un contorno di pisellini e carote, le mie due primogenite hanno preso come d’abitudine a storcere il naso. Allora io ho calato l’asso che tenevo da qualche giorno nella manica: “Ma se a scuola li mangiate sempre”, ho detto col sorriso sicuro di chi pensa di averla fatta franca.  Al che Signorina A mi ha risposto seraficamente: ”Sì, ma quelli di scuola sono più buoni dei tuoi”. A quel punto ho dovuto sedermi, ho sospirato via le peggiori parolacce che mi erano gemmate sulla punta della lingua, ho allontanato il disgustoso ricordo delle carote dei tempi della scuola e ho finto un noncurante”Ah sì?”. Mademoiselle C, che aveva forse percepito la delusione epocale nascosta in quelle quattro interrogative lettere, ha pensato di rassicurarmi a suo modo: “Ma mamma, non ti devi preoccupare, le cuoche della mensa sono tanto più brave di te perché loro lo fanno di lavoro”.

Ah, beh, allora.

3 pensieri su “Amor proprio gastronomico

  1. bellissimo, Chiara! Ma sicuramente sei una mamma più attenta di me: io inizio a pensare a cosa cucinare per cena intorno alle 19.48 😦 Comunque due cose mi sbalordiscono per la loro universalità: quella della pasta bianca (e che cavolo, possibile che tutti i piccoli la preferiscano così?), e l’intramontabile “Quelli della scuola sono più buoni.” Mi consoli.

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