Prime le ascoltavi con indifferenza, ci mettevi persino un pizzico di sufficienza. Pian piano la tua noncuranza si è trasformata in timido interesse, poi in debole ansia e alla fine è diventato allarme.
Loro, le mamme di bimbi più grandi dei tuoi. Quegli individui che ti fanno credere di essere stata come te, un tempo. Quelle creature che sminuiscono con sadici sorrisini i tuoi sforzi di mamma di bimbi piccoli, se paragonati ai loro attuali. Quelle dimenticatrici seriali che hanno precocemente rimosso tutte le fatiche che invece stanno azzannando te in questo momento.Tu magari sei al parco giochi con un arto che spinge l’altalena, un altro che cerca affannosamente i fazzoletti nella borsa, un altro ancora che alimenta la rotazione della giostrina, l’ultimo che ti mantiene in un equilibrio miracoloso e un bipede abbarbicato al petto, ed ecco che appare una di loro che si sente in dovere di farti sapere, sospirando con una certa boria che “Figli piccoli, problemi piccoli“. Tu l’ascolti, abbozzi un sorriso, intoni tra te e te un mantra di “sticazzi” , ti dici che appartenete a due specie diverse e la dimentichi seduta stante.
Poi succede quello che (non si sa come mai) avevi escluso tra le possibilità della vita, presa com’eri a pulire fantastilioni di cacche e preparare ettolitri di sbobbe svezzanti: i tuoi figli cominciano a crescere. Inizi a realizzare non senza orrore che – non dico alla stessa specie- ma è possibile che tu appartenga anche tu allo stesso genere di mamme. Succede che vagamente capisci il senso delle loro parole.
Si è appena conclusa la fase cacca-tetta-nanna (almeno questo percepisci tu che nel frattempo ti ritrovi in testa pensieri che fino a ieri avevi sentito formulare solo da tua nonna “Sembra ieri che sei nata e invece vai già all’Università“) e già cominciano i primi scontri generazionali.
Modi diversi con cui tu e la tua progenie guardate la vita.
Mademoiselle C e Signorina A sono due anni che vanno a un corso di gioco -musica. Giocando, allenano il senso del ritmo, canticchiano, tastano e pacioccano moltissimi strumenti, dai misconosciuti tuboing all’aristocratica arpa. Arrivati alla fatidica soglia dell’età scolare, però, il percorso della scuola di musica mette i bambini di fronte alla scelta di che strumento vorranno imparare a suonare negli anni successivi. Così, l’altra sera a cena, il Signor Pàpici e io abbiamo cominciato a esplorare il terreno delle loro intenzioni.
– Che strumento vi piacerebbe suonare il prossimo anno?- sonda il Signor Pàpici.
– Io la chitarra– va a colpo sicuro Signorina A.
– Io il violino- si sovrappone Mademoiselle C.
Non facciamo in tempo a riprenderci dalla meraviglia di cotanta insospettabile determinazione che Mademoiselle C riprende:
– Sì, anche io la chitarra. Violino e chitarra. E poi anche l’arpa e il basso tuba-
– Il violino allora anche io, e pure il pianoforte- incalza Signorina A fingendo di suonare una tastiera immaginaria- e poi, Pàpici, anche il tamburo.
Il Signor Pàpici e io tentiamo senza successo di introdurci nei loro monologhi musicali e assolutamente non riusciamo ad arginare i grandiosi progetti delle due orchestre complete che mangiano alla nostra tavola. Dopo una seria di smozzicati –Ma veramente bisognerebbe sceglierne uno- e di timidi –Non sarebbe meglio concentrarsi su quello che vi piace di più?- il Signor Pàpici e io ci guardiamo sconsolati e rinunciamo a difendere il nostro punto di vista.
Dopo cena, Mademoiselle C ci chiama tutti in soggiorno per proporci un’attività che ha imparato a scuola. La prepara meticolosamente, disegnando col suo tratto naÏf quattro tesserine (un timone, una rana, una giraffa e una talpa) e tre fogli (con scritti enormi numeri allo specchio, 1 2 3 ma scritti al contrario, sul web non trovo uno straccio di tool che me li generi), costruendo un percorso di cinque maxitessere di quei puzzle-tappeto coloratissimi, procurando una benda per gli occhi e adagiando infine per terra un foglio bianco con un pennarello. Mademoiselle C ci spiega scrupolosamente le regole. Capisco che si tratta di un’attività perchè i bambini imparino i concetti di avanti, indietro, destra e sinistra. Mademoiselle C ci destina ai vari ruoli e al Signor Pàpici tocca il ruolo di timoniere. Le regole che la maestra ha insegnato a Mademoiselle C e che lei ci sciorina con grande precisione prevedono che il timoniere conduca a turno la giraffa (che gioca in punta di piedi), la ranocchia (che avanza saltellando) e la talpa (bendata) fino a raccogliere i fogli numerati (prima l’1 poi il 2 e poi il 3, con rigoroso ordine, ovviamente). Per farlo, deve dare indicazioni sul numero di passi da compiere (in punta di piedi, a balzelli o alla cieca) sul tappeto-puzzle. I passi possono essere solo in avanti. Il Signor Pàpici comincia a giocare, ma alla lunga introduce elementi innovati nel gioco (tipo passi all’indietro o escursioni fuori dal tappeto). Mademoiselle C si arrabbia molto e lo richiama più volte all’ordine. – Ma guarda che così ci divertiamo di più e impariamo anche nuove cose- accenno. Niente da fare, è irremovibile. Alla fine passa il ruolo di timoniere a Signorina A. Ovviamente Signorina A prende molto sul serio il compito e lo fa con una serietà e concentrazione che mi riempie il cuore di un’ondata così forte d’orgoglio che per un attimo ho paura che mi si crepi lo sterno. – Pàpici, hai visto come si gioca?- dice alla fine Mademoiselle C ergendo Signorina A a modello per il suo vecchio padre.
Allora ho capito la verità. E la verità vera è che hanno ragione loro, senza ombra di dubbio.
Perchè, diciamocelo, non è affatto necessario scegliere una strada sola quando hai la possibilità di tenerne aperte tante. E, non c’è niente da fare, le regole – soprattutto quelle che sono fatte perchè un gioco riesca bene- si rispettano.
Quel che non sapevo prima di metterle al mondo e prima di vivere con loro minuto dopo minuto, stagione dopo stagione è che stare con i bambini è essere in viaggio nelle terre selvagge. Ti senti una specie di Alexander Supertramp di fronte alla maestosità della natura, perso nella contemplazione delle sconfinate praterie della loro cazzuta e incontaminata innocenza. La vita in qualche modo te l’ha messa nuovamente tra le mani e tu devi tentare di non avvelenarla.
Per cui, Signorina A Mademoiselle C Miss T, abbiate tanta pazienza con noi grandi, trasfondeteci sacche della vostra saggezza nativa e selvaggia e prendetevi tutto il tempo necessario per provare a non diventare ottusi come capita di essere a noi, specie quando ci prendiamo terribilmente sul serio nei nostri goffi e scoordinati tentativi di semplificarci l’esistenza.