Dare nomignoli è uno dei tanti metodi efficaci per ridimensionare personaggi che ci fanno una paura tremenda o ci incutono soggezione. E’ un modo per stabilire complicità tra chi condivide il lessico tacito e comune dell’epiteto di turno. Un’abitudine ancestrale che si colloca tra il faceto e il crudele.
Si comincia piuttosto presto ad affibbiare appellativi vari a chi ci sta intorno e nella vita si collezionano – un po’ da vittima e moltissimo da carnefici- vagonate di nomignoli. Anche io vanto una discreta carriera e ho tenuto a battesimo diversi personaggi con appellativi di cui non sempre, a ripensarci, vado fiera.
C’è il nomigliolo recriminatorio, quello che partorisci da incazzato. Quello per il quale, una volta passata l’arrabbiatura, ti tocca persino vergognarti un po’. Lo si dà all’amante non corrisposto, all’ex che ti ha lasciato, al professore che ti ha bocciato sette volte di fila al suo esame. Esempi illustri di questa categoria sono Il Merda (aka il nuovo fidanzato della ex di un mio caro amico) o La tazza (ragazza immotivatamente preferita a me da un ragazzetto di cui nemmeno ricordo il nome, nella lontana palude dei primi anni di liceo).
C’è il soprannome somatico, quello che si rifà a dei tratti caratteristici propri della vittima. Si può trattare di difetti somatici veri e propri oppure di peculiarità nel modo di atteggiarsi o di vestire. Di questo tipo ne ho affibbiato almeno un paio di sicuro effetto, di cui ancora si parla negli annali: il Dottor Antracite (noto supermegapluriegregio ricercatore con il gusto per il colore grigio, che si estendeva dall’intero guardaroba, al cuoio cappelluto, ai denti e alle punte dei polpastrelli da accanito fumatore. Totally grey) e il Ragionier Pantascella. Costui, direttore della filiale della banca dove era cliente mio padre, era totalmente impermeabile ai cicli della moda e indossava tutto l’anno pantaloni a vita imbarazzantemente alta, ulteriormente sollevati da bretelle tirate allo spasimo. A forza di riferirci a lui in casa con l’apposito epiteto, è capitato che un giorno, sovrappensiero, mio padre è entrato in filiale chiedendo del Ragionier Pantascella. Giuro.
C’è l’appellativo di ruolo, che deriva da un’azione che si ripete uguale nel tempo. Quel qualcuno che, volente o nolente, compie un’operazione o ripropone un’espressione per molte volte. E’ il caso di mio fratello diventato Patumio per la sua attitudine giovanile a guadagnarsi ininterrottamente l’assegnazione della traslazione dei rifiuti dal bidone domestico e quello in strada (che poi ne abbia fatto una professione, questo è un altro discorso), ma anche del leggendario Gran Bestemmiatore, già protagonista di un vecchio post (https://erodaria.wordpress.com/2015/04/02/piccoli-propiziatori-di-figuracce-pantagruelichea/).
C’è, infine, l’epiteto involontario, quello che arriva quando meno te lo aspetti. Tu non stavi nemmeno lontanamente pensando di concepire un soprannome per la tal persona ma lui, in un istante, te lo confeziona e serve su un piatto d’argento. L’esempio lampante mi deriva da un personaggio epico appartenente ai miei anni di università. Quell’uomo conosciuto, a sua totale insaputa, come “Mettuto”. Trattasi di un procacciatore legale di panini per studenti a prezzi stracciati, che alberga nei pressi della sede della facoltà. L’uomo che ha sfamato generazioni di tardo-adolescenti. L’uomo che in un lontano giorno di quindici anni fa è stato capace di concepire un capolavoro sintattico che è rimasto indelebilmente impresso nelle nostre allora giovani menti: “Il panino lo mangi subito, o lo vuoi mettuto nel sacchetto?”. Inarrivabile.
Ottima ed esauriente classificazione!
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🙂
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