Di quando mi son scoperta seduta dalla parte del torto

La mia prima gravidanza è stata fortemente medicalizzata. Essendo gemellare, è stata subito considerata a rischio e trattata come tale. Molti controlli, molta cautela, molta attenzione.

Quando sono rimasta incinta per la seconda volta, ho deciso per reazione che, salvo complicazioni, mi sarei fatta seguire da un servizio pubblico territoriale.

Come accade a tutti i principianti, specie a quelli nerd, durante la prima gravidanza ho letto e raccolto molte informazioni, anche grazie al contatto frequente con l’ambulatorio ospedaliero specializzato (pubblico e all’avanguardia, da italiani c’è di che andar fieri).

C’è un momento specifico della gravidanza, entro il primo trimestre, nel quale viene consigliato un insieme di esami biochimici (gratuiti e convenzionati), attraverso i quali si stabilisce con una certa probabilità la presenza di anomalie cromosomiche o altri disturbi del nascituro. Quando ero incinta di Mademoiselle C e Signorina A (note allora come “i pisuli“, ovvero i pesciolini – “pesce destro” e “pesce sinistro” per la posizione che occupavano rispettivamente nella mia ventrazza), i medici dell’ambulatorio gemellare mi avevano spiegato, appunto, che si trattava di un test probabilistico e non diagnostico e che per i gemelli non c’erano sufficienti dati a disposizione per fornire una probabilità di rischio attendibile. Per cui, semplicemente, non mi sono sottoposta al test.

Per Miss T, quando è stato il momento di scegliere se sottopormi a questa analisi, nuovamente il signor Pàpici e io abbiamo deciso di non farlo. Complici racconti recenti di falsi positivi che avevano generato molte ansie nei futuri genitori e la consapevolezza che su nessuna delle anomalie diagnosticabili si potesse intervenire medicalmente, ho firmato la liberatoria di rinuncia all’esame. Abbastanza a cuor leggero, devo dire di essere un’innata ottimista.

Tempo dopo, mi sono presentata per la prima volta al medico – una donna- del servizio territoriale dove in genere a seguirmi era invece un’ostetrica. Una donna, questa ginecologa, dai tratti decisi e i modi affabili e sbrigativi di chi ha a che fare giornalmente e in prima linea con la vita di molte donne, di ogni estrazione, di ogni età, di ogni idea. Donne da aiutare, con cui stabilire un legame di empatia, donne di cui tutelare la salute e la libertà. Come a volte si fa nel vedere le persone per la prima volta, le ho attribuito mentalmente un passato da femminista, attivista dei diritti delle donne. Non si può scegliere un mestiere così senza degli ideali forti. E lei sicuramente ne aveva da vendere.

Prima di visitarmi, ha cominciato a sfogliare la mia agenda della gravidanza, facendomi domande, per informarsi del mio generale stato di salute e del corso di quella mia gestazione. Finché non si è imbattuta nel mio dissenso firmato e informato di sottopormi al famoso test biochimico probabilistico. Il viso s’è indurito, ha alzato lo sguardo verso di me e mi ha guardato in un modo che difficilmente dimenticherò. Ha puntato i suoi occhi nei miei con sprezzante sufficienza, pronunciando, poi – con mia grande sorpresa e disappunto- la seguente frase: “Ah, quindi se tanto mi dà tanto, lei da me non vorrà nemmeno essere toccata”.

Ho capito in quel momento che stavo rappresentando per lei tutto quello contro il quale aveva sempre lottato. Stavo seduta lì, con quella firma apposta su un modulo, a negare la libertà di sapere quel che stava accadendo dentro al mio corpo di donna. Non poteva sopportarlo e me l’ha fatto sapere con sommesso disprezzo.

Stavo seduta dalla parte del torto e lo scoprivo in quel preciso momento, sentendomi sbagliata agli occhi di quella donna che, per me, incarnava molte virtù umane e professionali.

Quel che lei non riusciva davvero a vedere in quel momento è che io pure stavo esercitando il mio pieno diritto di libertà, in una mia personale declinazione, certo, ma pur sempre libertà.

Non so perché lo stia raccontando ora, a distanza di tempo. Sicuramente per quel potere terapeutico della condivisione che mi fa stare meno male dopo aver raccontato una faccenda che mi ha ferita piuttosto intimamente. Forse anche per tenere a mente, per tutte le volte che mi sentirò dalla parte della ragione, che ognuno ha delle intime e occulte ma pur sempre valide ragioni per sedersi dove gli pare.

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28 pensieri su “Di quando mi son scoperta seduta dalla parte del torto

  1. Non eri dalla parte del torto, eri dalla tua parte. Non so perché tu ti sia sentita sbagliata…forse lei non ti ha guardato come una persona, ma come una statistica. Con, in più, quella sprezzante posa di considerarti ignorante. No, non eri dalla parte del torto. Ricordo che secoli fa noi donne gridavamo “io sono mia”. Tu sei tu, sei tua, le tue scelte sono le tue. Scusa, mi stavo arrabbiando troppo 😊. Hai capito, insomma.

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  2. che rabbia… che nervi… tornano a galla ricordi agghiaccianti sulla mia gravidanza… che ciclicamente tornano e fanno male, perché quando ti fanno sentire sbagliata e incapace… ecco, perché ci fanno sentire sbagliate/i ma non lo siamo mai, credo… siamo semplicemente noi, con tutte le nostre possibilità legittime di errore…
    ecco… mi accodo a lucilontane… la smetto perché poi mi parte il crimine… 😉

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  3. E’ stata arrogante e presuntuosa in un modo inaccettabile. Avrebbe invece dovuto chiedere il perchè di una scelta, la tua, sicuramente ragionata e non dettata dall’ignoranza. I pregiudizi sono inaccettabili, soprattutto in chi si occupa di salute, perchè possono offuscare il senso critico. Un abbraccio.

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  4. Fai bene a scriverlo. Tanto per cominciare sai che troverai appoggio, mille altri “sbagliati”, seduti però, guarda caso, dalla parte giusta per sé. E poi… ricordare quanta piccolezza c’è oltre l’apparenza di una presunta grandezza, fa sempre bene.

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    1. la parte giusta per sé, dentro i limiti di concetti definiti proprio da una legge, è un ottimo concetto (però m’è sinceramente spiaciuto scoprire la piccolezza dietro a una presunta grandezza…ecco, anche il mio si è rivelato un pregiudizio errato!)

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  5. Comunque c’è anche un’altra innegabile verità in queste storie di gestazione. Che spesso c’è anche una grande incompetenza dietro, oltre che mancanza di empatia (come in questo tuo caso), perchè una persona intelligente ti avrebbe chiesto: perchè questa scelta, invece di fulminarti con gli occhi e con le parole. Alla mia amica avevano diagnosticato un feto con problemi, non ricordo quale, lei è stata combattuta fino alla fine sulla scelta che avrebbe dovuto fare. Forse con un cuore massacrato dal dolore e forse anche dall’età, quasi 38 anni all’epoca aveva deciso di tenerla. Poi la bambina (ringraziando non so chi) è nata sana. Quando si è parlato di una seconda gravidanza, lei ha preferito rinunciare, terribilmente scossa dalla prima gravidanza. Sono situazioni che in qualche modo ti colpiscono, sotto certe prospettive che alcuni dottori invece totalmente ignorano. P.s. Le mie due cognate sono entrambe nate da un parto gemellare, una delle due trigemellare (anche se uno è nato malato!sic)

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  6. Non ti preoccupare. Io ero seduta sulla sedia di chi l’esame probabilistico l’HS voluto fare ed è pure uscito positivo. Quindi ho SCELTO di fare l’amniocentesi per avere una certezza. E mi sono sentita giudicata lo stesso perché “e se non fosse NORMALE te ne liberi?” No. Io avevo comunque già scelto cosa fare o non fare ma ormai volevo sapere ed era mio diritto.
    Quindi sia in un caso che nella’altro ci giudicano e ci feriscono profondamente.

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  7. Bel pezzo! (come sempre, ok 🙂 ), ma non mi accoderò a chi ti blandisce.
    È vero che partendo da assunti diversi si raggiungono libertà diverse, ma nel confronto tra questi assunti diversi possiamo vederci un po’ da fuori e se c’è qualcosa di debole nei nostri assunti che senso ha rassicurarci che, anche se siamo dalla parte del torto, ci scriviamo da soli che siamo comunque dalla parte della ragione?
    Predico bene e razzolo male, lo so, e pretenderei se fossi al tuo posto più gentilezza di quella di cui io stesso sono capace, ma quello che vorrei dirti è solo di prendere davvero in considerazione la sensazione che ti ha lasciato quell’incontro e di lasciare una porta aperta al cambiamento.
    Diventa così difficile provare vergogna di qualcosa da adulti che un’esperienza come la tua è più rara e preziosa di mille rassicurazioni.
    Fanne un uso migliore di quello che saprei farne io 🙂

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      1. l’idea, l’esercizio, per una volta che si ha il sospetto di trovarsi dalla parte del torto, è di restarci.
        Senza autoassolversi e senza cedere a facili rassicurazioni di sapore sociale. Prova a immaginare per una volta di avere torto sul serio e goditi il viaggio, gustati questo germe di cambiamento, se non hai già investito troppo nel tuo lato dell’autobus.
        Io lo farei ancora volentieri, ma in questo periodo mi capita raramente di sentirmi in torto come hai descritto tu, una descrizione che mi ricorda tanto un certo periodo di qualche anno fa.

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  8. mi hai fatto venire in mente di quando, dopo un grave episodio di ipoacusia all’orecchio sinistro, avevo chiesto al medico che mi aveva visitata, se c’erano altre cure per riacquistare l’udito e mi ero sentita rispondere: “sì, un viaggio a Lourdes”. io sedevo dalla parte della speranza, lui da quella degli stronzi.

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  9. L’arroganza e la mancanza di delicatezza di certi medici è esemplare purtroppo. Torti i ragioni sono abbastanza relativi, una volta indicata quella che per loro è la strada migliore, dovrebbe rispettare le scelte altrui. Invece tendono a sentirsi onniscenti

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