Ci son momenti e luoghi in cui noi umani sperimentiamo cose di cui solitamente nella vita quotidiana non facciamo esperienza alcuna.
Durante e intorno alle vacanze al mare, per dirne una, accadono fenomeni a dir poco paranormali.
Per far comprendere in che misura questo aggettivo non costituisca in nessun modo un tentativo di iperbole, comincerei a parlarvi dei miei capelli.
Ma com’è possibile che nessuno abbia ancora catturato e brevettato l’elisir per capelli mossi e perfetti a base di salsedine marina? Certo hanno la consistenza della lana non cardata, ma è un prezzo del tutto onorevole da pagare per avere ciocche compatte con andamento sinusoidale perfettamente regolare. Nessuna diavoleria tricocurativa vale la salsedine di mare e il fenomeno sopra descritto si manifesta unicamente in seguito ad esposizione diretta e ripetuta, non fornendo, ahimé, alcun effetto retroattivo da riportarsi in città. Una volta, in pieno inverno, mi sono persino comprata una lozione carissima che prometteva capelli da surfista: non è servita una mazza ma almeno ho capito il significato pieno dell’espressione “onda perfetta”. Altro che oceano, vento e tavole colorate: i surfisti, cari miei, vanno per il mondo alla ricerca della miglior salsedine per u’impeccabile tenuta dei loro ricci fluenti.
E la pelle, poi? Trascorriamo l’anno da tranquilli abeti, desquamandoci poco alla volta con assoluta discrezione. Nessuno direbbe che perdiamo di continuo piccole porzioni di pelle, secondo il suo naturale turnover. Io, per esempio, non l’avrei mai saputo se non fosse stato per quella volta che ho ospitato la dimostrazione di un aspirapolvere che costava come una parure di Bulgari e montava un motore brevettato dalla NASA. Le signorine dimostratrici mi hanno pulito il materasso raccogliendo quanto aspirato su un’elegante panno di velluto nero. Pare che fosse pieno di epidermide di seconda mano. Devo dire che non ero esattamente convinta, dato che tra me e il mio materasso in genere si frappone un pigiama, della biancheria intima, un lenzuolo e un coprimaterasso. Come le mie cellule epidermiche in disuso abbiano potuto raggiungere il cuore del mio materasso, mi è tuttora oscuro ora, ma non me la sono sentita di mettermi a discutere con la NASA. Fatto sta che durante o immediatamente dopo una vacanza al mare, da sempreverdi che siamo durante l’anno, ci trasformiamo in caducifoglie e, come biscia a primavera, compiamo una misteriosa muta che ci priva tutto d’un colpo della gioia un po’ perfida di sfoggiare la nostra abbronzatura vacanziera, sventolandola sotto i nasi pallidi di città.
Al mare ci nutriamo di carboidrati complessi e grassi vegetali come se dovessimo affrontare di lí a poco un’era glaciale. Non ci si può negare per nessuna ragione al mondo almeno una piastrella di focaccia ligure al giorno, pena una fitta di rimorsi postvacanzieri che durerà almeno fino all’avvento dell’Avvento. La cosa straordinaria è che basta una passeggiata sul lungo mare o una nuotatina fino al cordone di frangiflutti per smaltire quel concentrato di calorie, roba che a casa non basterebbero nemmeno 23 ore ininterrotte di hydrobike. Al mare, sfuggita l’iniziale pantomima della prova costume, ci si sente insolitamente tonici. Forse è più dovuto alla sensazione della pelle secca che tira che a una reale compattezza dei tessuti sottostanti, ma in fondo chissenefrega.
I bagni in mare sono abluzioni terapeutiche, da cui si esce rinnovati e ricolmi di energie. Il mio rapporto con lo spazio è sempre stato di generale maldestrezza. Non sono una brava atleta, guido maluccio, sono una ciofeca con qualsiasi tipo di ballo. Ma nell’acqua mi pare di rinnovarmi, mi concedo capriole e verticali, perlustrazioni del fondale, nuotate liberatorie. Lascio lì le esuvie della mia stanchezza, riprendo possesso dei miei movimenti, mi inebrio inalando acqua e sale. Non fosse per quella merda di Spielberg e dei suoi squali di gomma che hanno segnato il mio inconscio (ma il parentali control negli anni Ottanta dov’era?), mi sento come nel mio mezzo ideale. Mi sembra persino di poterci danzare.
La focaccia ligure, dicevamo, è l’alimento perfetto per le vacanze. L’olio di cui è fatta per almeno la metà del suo peso, lubrifica gli attriti, ricolma le piccole crepe, rallenta il corpo quel tanto che basta per riagganciarlo ai pensieri, che prendono a brillare. E, incantevole accadimento, le cinque goccioline che siamo noi durante l’anno, centrifugate in una perenne emulsione di incombenze e impegni che ci tengono spesso separati, si ricongiungono in una meravigliosa, bisunta e salvifica unione. Diventiamo una bella chiazza unta e unita, che ci vien voglia di traghettare con tutte le nostte forze dal paranormale di questi meravigliosi giorni, alla normalità che ci attende, pallida, un po’ più in là.