“Ho ripreso a suonare il pianoforte dopo vent’anni”, mi ha raccontato di recente un’amica, “perché quando sono concentrata a cercare di imparare tutto il resto non lo sento più, mi dimentico delle preoccupazioni”.
“Preferite credere che li abbia veramente moltiplicati i pani e i pesci o che abbia convinto tutti i presenti a tirarli fuori dalle loro sporte e a condividerli con gli altri? Volete delle azioni alla vostra portata o soprannaturali?” ha detto pochi giorni fa il nostro ruvido prete di montagna.
Nei giorni scorsi ho scoperto che la figlia di una persona carissima che proviene direttamente dalla mia infanzia più dolce ha trasformato al casa di quella sua mamma speciale in un affitto turistico e io ho un gran desiderio di andarci.
Sto cercando di imparare i punti base all’uncinetto per, un giorno, realizzare una di quelle coperte della nonna composte da tante mattonelle a forma di fiore. Chissà se sarà un’impresa alla mia portata, se mi porterà a contatto con un’antica parte dolce e sarà capace di tenere fuori le preoccupazioni.
Sono anni che mi rimbalzano nella testa certe domande. Mi chiedo se non trovo le risposte perché non esistono o hanno a che fare col fatto che ogni mestiere ha le sue gioie o i suoi dolori, oppure ancora le risposte non le trovo perché ho paura di guardarle in faccia. Se le soluzioni che mi racconto sono utopia o possibile realtà. Se devi scegliere un lavoro che abbia a che fare con chi sei tu nel profondo e se devi portare in ogni lavoro chi sei tu nel profondo.
Oggi vivo questo spazio di scrittura quasi come una responsabilità. Nel tempo è stato un esperimento, un laboratorio, una palestra, un armadio in cui riporre esperienze da lasciar maturare in ricordi, uno scherzo, un progetto, una speranza. Per fortuna rimane leggero.
Invecchio e riconosco ancora il desiderio di essere come gli altri, il desiderio di essere diversa dagli altri, il desiderio di essere migliore degli altri, il desiderio di essere meno degli altri. Tutto questo mi spunta nel cuore e poi scompare e ancora riappare alla velocità con cui girano i raggi di una bici in corsa. La volubilità dei cieli di montagna accompagna la mia crescita, i cieli fermi delle giornate di piena estate al mare appartengono a una me che si è presa una pausa e magari tra un po’ torna, boh.
Da adolescente amavo la primavera, ora amo l’estate e considero autunno e inverno un prezzo da pagare. Mi chiedo se l’esistenza, oltre alla mia età, farà scivolare in avanti anche le mie preferenze stagionali.
Mi è venuto in mente che, diversi anni prima di aprire Erodaria, avevo immaginato un altro blog e avevo deciso di chiamarlo “Io spigolo”, a sottolineare aspetti pungenti del mio carattere ma soprattutto la prima persona singolare del verbo “spigolare”, l’azione di raccogliere le spighe lasciate indietro dalla mietitura. Mia nonna Angelica me ne parlava spesso. Per me è l’azione di raccogliere pensieri, farne un mazzo, senza riuscire ad amalgamarli in un’unica farina. Per ora va così.
Anche io spigolo era carino.
Ma Erodaria l’ho sempre
Trovato superlativo
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