L’estate continua a smarrirmi, a imbrancare le mie braccia aperte e a lui e trascinarmi in discese ardite e tutte quelle risalite, specie quelle che dalla spiaggia mi devono riportare a casa sotto il sole cocente. Passano gli anni, e con loro la necessità di rivedermi, riconsiderarmi, attività che mi viene naturale fare, senza volerlo espressamente, nel tempo sospeso delle vacanze estive. Ho dato gli esami di questo mio primo anno di seconda laurea, tenendomene uno per settembre e così in questi giorni mi dedico ad alcuni dei miei ruoli familiari: in questo momento sono figlia, zia e mamma in una settimana marittima transgenerazionale (in pratica nel ruolo della rompicoglioni che spezza l’idillio nonni-nipoti, ma va beh, qualcuno lo doveva pur fare e a sto giro sono io).
Dai miei esercizi di autovisione, arrivo alla conclusione che non so vivere nel presente, questo è una conferma che mi do anche oggi. Mi guardo, guardo gli sconosciuti in spiaggia, vengo rapita alla gola da una grande nostalgia dei tempi in cui le bambine erano piccole sul serio, incapace di godere fino in fondo della bellezza di cui è portatore il tempo con loro adesso. Sono ancora piccole da voler trascorre le vacanze con me, da contendersi il posto accanto a me nel lettone quando papà non c’è, ma grandi abbastanza da non farsela addosso in spiaggia con tutte le difficoltà logistiche del caso. È vero che, soprattutto Signorina A e Mademoiselle C, hanno un grande bisogno di essere eterodirette nelle cose più semplici, con continue istruzioni tipo manuale di montaggio IKEA, ma è anche vero che tutte le principali operazioni quotidiane le fanno tutte e tre per benino. Preparano e spreparano la tavola, si fanno il letto, portano qualche borsa leggera in spiaggia e si lavano da sole. Ho davvero preso troppo sul serio la me stessa mamma di tre bambine piccole, tanto da scriverci un blog a tratti stucchevole (lo capisco ora quando – biliosa- reagisco ai post sdolcinati delle giovani mamme) e farne la mia identità preferita. È che oggi nella quotidianità mi misuro con ragazze nate nel 2002 o con giovani mamme che, con figli piccoli, si sono rimesse a studiare. E io che ho due dodicenni e una ottenne, mi sento, come dire, ingiustamente vecchia. Oggi sono sempre io, ma senza un lavoro certo a cui ritornare smadonnando a settembre, senza sapere quali sono i contorni della mia spensieratezza estiva, che smargina via e non trovando limiti si trasforma quasi in un nemico. Sono un animo semplice, ho bisogno di confini, dei no che mi aiutano a crescere.
Un recentissimo esame di sociologia e una celebre raccolta di discorsi per le cerimonie di laurea di Kurt Vonnegut mi hanno richiamata a vario titolo al gioire delle mie fortune, che sono di gran lunga superiori alla maggior parte degli uomini che hanno vissuto in tutti gli spazi e tempi della storia della nostra specie su questo pianeta, ma non riesco a non dare ascolto ai miei diavolo di smarrimenti, che hanno a che fare puntualmente con la fottuta paura del cambiamento. Pensavo di vaccinarmi facendo un triplo salto carpiato nel vuoto professionale e invece sono sempre la solita cretina di sempre, accucciata su uno scoglio, le unghie affondate nella roccia, con una paura fottuta del tuffo. E ora mi ritrovo al mare, non quello metaforico, quello vero, a studiare pedagogia contemporanea e a mettere a fuoco che tutto l’atto pedagogico è fondato sul cambiamento e sull’accompagnamento al cambiamento stesso e ovviamente vedo questa cosa come davvero al di sopra delle mie possibilità. Quando i detrattori della mia avventata scelta cercavano di convincermi a ritrattarla, non avevano messo sul piatto questo. La vera sfida per la me educatrice delle mie bimbe (ho deciso che se lo fa la super Valentina Santandrea, lo faccio anche io, le chiamo bimbe a dispetto dell’anagrafe, tiè) e dei miei futuri alunni è davvero al di sopra di quello che so realmente fare. Ma conto di farcela, conto sempre che the best has yet to come, scritta che mi ostino ad usare per tutti i vari quaderni, agende, sfondi di cellulare e compagnia bella.
(illustrazione meravigliosa del super Jesuso Ortiz)
Grazie per il bel testo, parole come sempre profonde e leggere per piccoli, grandi equilibrismi quotidiani. Ma chi è davvero in grado di vivere nel “qui è ora”? A volte mi sembra di riuscire a vivere un quasi-presente, e non appena mi rendo conto che non mi basta, sono già altrove 🙂 Buon resto dell’estate!
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