Lo so, non sarà un granché leggere questo post in cui mancano i nomi e anche molti riferimenti precisi, che renderebbero migliore la lettura. Ma non posso fare altrimenti.
Stare a stretto contatto con i bambini mi permette di fare un costante rifornimento di meraviglia, un pieno incessante di spunti su come funzionano le cose dentro alla testa di un essere umano, che sarebbe un vero peccato tenere solo per me. D’altra parte non voglio mettere in piazza, con nomi e cognomi, meraviglie di cui non sono in nessun modo proprietaria.
Qualche settimana fa, durante il tirocinio, la giovane M, 8 anni, mi racconta: “Sai, maestra, che ho due fidanzati? Si chiamano tutti e due J (segue nome di chiara provenienza straniera; capisco allora che anche la famiglia di M ha quella provenienza, nonostante M non abbia alcun accento riconoscibile). Ci incontriamo sempre la domenica in chiesa. Uno dei due J è un po’ cicciottello, ma sai è uno di quelli a cui la ciccia sta proprio bene addosso“. Sorrido tra me e me: questo è proprio amore. “E ti piace qualcun altro, oltre ai due J?”, le chiedo. “No, maestra, a me possono piacere solo bimbi (segue attributo della nazionalità) e cristiani“. Mi viene spontaneo ribattere: “Ma che dici? E se ti innamori di qualcuno diverso da così, come fai?”. Lei si fa seria: “Impossibile: io non posso innamorarmi di qualcuno che non sia come ti ho detto“. M ha appena 8 anni, dicevo.
Una mamma di scuola, uno di questi giorni, davanti alla scuola di Miss T, si lamenta con me del freddo. Mi dice che lei in inverno è antipatica, che poi ridiventa amabile in primavera, quando la natura si risveglia e ci si innamora. Rispondo con i miei cliché soliti, dico cose che ho già pensato e usato decine di volte in altre conversazioni simili: “Anche io non amo l’inverno, ma come faremmo ad accogliere la primavera se non lo avessimo attraversato?”. Mentre lo dico, mi viene un pensiero nuovo, una nuova piccola consapevolezza. Quando mi sono innamorata, mi è successo sempre in inverno. Dai miei 17 anni (ricordo la data precisa, con giorno-mese-anno) ad oggi mi è accaduto 3 volte ed era sempre inverno, la stagione che io sono convinta di detestare più di tutte.
Un altro giorno ancora, sempre nella classe di tirocinio, la giovane V, anche lei 8 anni, mi chiede, mentre sta colorando un disegno prestampato: “Secondo te questo è un maschio o una femmina?“. “Mi sembra una femmina”, le rispondo. “Oh, no!“, reagisce visibilmente dispiaciuta. “Qual è il problema, giovane V?”, le chiedo. “Guarda che disastro: le ho fatto il cappello blu!“. “E allora?”. “Beh, dai, avrei dovuto scegliere colori più femminili“.
Metto questi tre piccoli fatti insieme.
Insieme questi tre fatti compongono un piccolo esercito di domande in fila:
quand’è esattamente che noi esseri umani cominciamo a vedere dei confini che non pensiamo di poter valicare nei nostri percorsi?
e perché li vediamo?
ce li abbiamo messi noi, ciascuno i propri, o lo ha fatto qualcun altro per noi?
quand’è che decidiamo di rifugiarci in convinzioni che ci danno tranquillità, ma ci tolgono non solo pezzi di visuale, ma intere fette di vite possibili?
com’è che smettiamo di chiederci se quei confini sono davvero giusti e ci permettono di stare degnamente al mondo o sono solo seducenti poltrone, che ci avvolgono, ma non ci risputano mai fuori da noi stessi?
[non ho risposte, solo domande]
illustrazione di Chez Agnes Illustration https://www.instagram.com/chezagnes_illustrations/
Molto stimolante, come sempre. Ci voglio riflettere un po’ su
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fammè sapè che nne penzi
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Ecco qua https://viaggiermeneutici.com/2023/01/24/insegna-bene-ai-tuoi-bambini/
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