Esercizi di poesia

Sono stata per lunghissimi anni una lettrice compulsiva di narrativa. Romanzi, romanzi, romanzi, qualche raccolta di racconti, romanzi, romanzi, romanzi. Stare insieme per tante pagine, scoprire un grande trasporto emotivo (quando si ha la fortuna di imbattersi in buoni romanzi, ma con l’esercizio si affina il fiuto) di parola in parola, poco alla volta.

Non so tanto perché, ma forse sì che lo so, ma a chi legge non fregherà tanto, sono tanti tanti mesi che non leggo un romanzone tutto intero con quel sentimentone da grandi amori (cioè, a dire il vero vero l’ultimo uscito di Annie Ernaux in italiano, non è che potevo ignorarlo e nemmeno quel tal lunghissimo romanzo che ho cominciato a settembre per averne sentito la presentazione dell’autore e che mi ha tenuta stretta in un’ambivalente morsa tra il “vaffanculo, va’” e il “no, va beh, però”; no, non ne svelerò il titolo). Quando dico che non leggo narrativa, dico che non la leggo in maniera insana e compulsiva come un tempo.

È un periodo che, invece, leggo poesia.

Per anni non l’ho considerata e per anni sono stata ferma a quella manciata di composizioni che amo da sempre, dai tempi del liceo*.

L’insegnante di scrittura da cui ho imparato gran parte di quello che so, già anni fa, quando seguivo i suoi corsi, diceva che è dalla poesia che si apprende il rigore linguistico, la precisione millimetrica nello scegliere la giusta parola, quella parola lì che rispetta a pieno il significato che vuoi dare, ma anche la musicalità e il ritmo; diceva che questa è una competenza che si applica poi anche alla prosa. Aveva ragione, ovviamente, ma io non lo sapevo ancora. Per rendermene conto, ho dovuto riscoprire la musica e con la musica, la poesia (ora sono curiosa di sapere cosa si porterà la poesia per mano, in questa catena di progressivi disvelamenti), ho dovuto appassionarmi ad un progetto, per il quale mi tocca farci i conti almeno un po’.

Leggendo poesia, trovo poesia dappertutto. Non solo la poesia dei componimenti metrici, la poesia delle verità profonde annidate nei posti in cui non ti aspetti.

Nei libri** che tengo aperti dappertutto, che mi porto in borsa, sulla metro e dal parrucchiere, che mordo e lascio, per poi riprenderli, certamente, trovo tanta poesia, ma non è tutta quella di cui ho bisogno. Non mi basta; un desiderio, una volta acceso, va seguito diligentemente, come cammelli dietro ad una piccola cometa accesa. Ho bisogno anche di altra poesia e la trovo, eccome se la trovo, un po’ dappertutto.

Una mattina a scuola, durante il momento degli stati d’animo, il giovane A dice: “Sono triste perché non riesco a staccarmi dal bel pensiero del mio pranzo di ieri”. Un bambino di otto anni, che riconosce in sé la nostalgia, la vede, non sa darle ancora un nome preciso, ma sa bene, per la saggezza del suo istinto, che è un misto di tristezza e felicità, ecco, per me è poesia.

Ho risentito delle registrazioni che avevo fatto in classe durante alcune letture fatte con i bambini e ci ho trovato dentro tanta di quella poesia da farmi venire i capogiri, come quando fai tanti respiri tutti profondi uno di seguito all’altro e l’ossigeno ti ubriaca un po’. Intanto, le voci stesse, sono poesia. E poi: “Io mi rilasso quando abbraccio mia mamma”, dice T. “Un abbraccio ad occhi chiusi è un abbraccio magico” dice G. “Quando devo tuffarmi dall’alto, al fiume o al mare, io ho paura di saltare perché non vedo il fondo dell’acqua, ma se sotto c’è mio papà, ecco io salto”, dice T.

E le canzoni, anche quelle che chissà come hai sentito magari distrattamente chissà quante volte, ma mai veramente. Una sera, mentre tornavo da un posto che ho raggiunto con 24 ore di anticipo (sì, ho sbagliato il giorno e mi sono pure incazzata con gli organizzatori prima di realizzare che era solo uno dei tanti colpi della mia coglionaggine), alla radio ne ho sentita una (ma la trovate voi), dove almeno un verso, ma più d’uno mi ha lasciato per qualche secondo lì, in apnea (“Ho un materasso di parole scritte apposta per te, e ti direi spegni la luce, che il cielo c’è“).

Una sera ad una formazione per agricoltori (vivo ancora tante vite contemporaneamente): io con una ventina di allevatori abituati a dividere il cuore tra la stalla e il bilancio aziendale (questo, almeno, il mio pregiudizio). Nell’aria un delizioso odore di liquame (true story, no pregiudizio). A loro domanda, voglio spiegare che nelle colture che hanno loro, che sono erbacee, il carbonio della biomassa non vale un granché perché si esaurisce nell’arco di un anno. Siamo piuttosto lontani dalla poesia, eh? So per esperienza che l’allevatore della Pianura Padana ama il mais più di ogni altra coltura, perché è vigoroso ed efficiente, usa le risorse come nessuno mai (è un po’ come una di quelle donne bellissime che non fanno niente per esserlo, ma lo sono come dono di natura, e noi mortali lì a rosicare) ed è quello con il quale riescono a guadagnare un po’ di più (non che i cerealicoltori si arricchiscano, ma il mais, ecco frutta loro un po’ di più se non altro perché, almeno finché non c’erano problemi di siccità, produce di più). Per cui, penso di andare sul sicuro, quando dico “Prendete il vostro mais, anche lui che è così forte e vigoroso, anche lui che amate così tanto, ecco il suo carbonio dura meno di un anno e poi torna ad essere per lo più anidride carbonica”. Vengo interrotta dal signor A, ruvido allevatore tutto barba e piemontese stretto, che mi dice con aria sognante: “E no, il mais sarà anche forte, ma non c’è niente di più bello di un campo di grano maturo”. Capito? Pregiudizi di Erodaria 0- rozza poesia agricola 1.

Non ho bisogno di portarmi dietro un taccuino, io viaggio sempre con una telecamera accesa in mezzo alla fronte, una specie di orrendo terzo occhio che mi fa vivere perennemente dentro ad una pellicola cinematografica (la cosa, che di per sé, può sembrare bella, può avere anche alcuni effetti negativi), ma se ne avessi uno lo chiamerei “esercizi di poesia” e ne regalerei uno uguale a chi voglia provare a vederla un po’ in giro, a setacciare i giorni e mungerne (ah, i miei allevatori di quella sera) il suo nettare poetico. È deciso, quindi: per i vostri esercizi di poesia, il taccuino ve lo regalo io.

*(che poi sono davvero poche : Elevation di Baudelaire, La sera del dì di festa di Leopardi, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale di Montale, Consolazione di D’Annunzio…lo so, D’Annunzio…ma ora ditemi se non sentite una piccola deflagrazione all’altezza del petto a leggere “Che proveresti tu se fiorisse la terra sotto i piedi, all’improvviso?“; sono, tipo, almeno vent’anni che a me ogni volta mi scoppia un pezzettino di cuore).

**(quel che ho per le mani ora è davvero molto eterogeneo, ma abbiamo capito che la poesia ha tante sfaccettature e noi chi siamo per dire cosa la è e cosa non la è: Tre modi per non morire: Baudelaire. Dante. I greci, di Giuseppe Montesano, che contiene poesia dentro ad una prosa delicata; L’amore da quando ci sei tu di Cecilia Roda, poca metrica ma tanta freschezza, provate questa; Poesie d’amore di Jacques Prévert (mi piace vincere facile, lo so, ma leggete questa e poi mi dite se non c’è, veramente, tutto quello che si possa dire sull’amore); il grande poeta italiano contemporaneo, impossibile da non conoscere, che è Franco Arminio (lui lo si può cercare e seguire facilmente online: oggi, per me, su tutte questa, ma in lui c’è tanto tanto altro; e poi, lei: Vista con granello di sabbia. Poesie (1957-1993) di Wislawa Szymborska: di lei non linko, niente, di lei è tutto da leggere. Vi lascio solo una piccola manciata di versi “Un miracolo, basta guardarsi attorno: il mondo onnipresente. Un miracolo supplementare, come ogni cosa: l’inimmaginabile è immaginabile).

L’illustrazione, ovviamente poetica, è di Jesuso Ortiz.

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