Son giorni pesanti, questi, inutile nasconderlo. Anzi, meglio dirselo apertamente. Anche chi ha la fortuna di non stare male, come me in questo momento, vive in uno stato di allerta perenne. Mai come adesso, abbiamo la chiara percezione della provvisorietà della congiuntura fortuita che ci tiene vivi e sani. Sono giorni di nuove sottigliezze semantiche (la differenza tra quarantena e isolamento), di nuove accezioni a parole credute note finora (ma non si era detto che “positivo” era una bella parola?), di presunte nuove competenze che nascono e con loro nuovi complottismi, di strane abitudini diventate normalità (c’è stato un tempo in cui davvero non mettevamo le mascherine?), di programmi fatti e disfatti di continuo, di certosini ritagli di responsabile libertà. Passi anni chino sui libri a chiederti com’era il medioevo e poi, improvvisamente, senti vicina la peste, il buio, l’incertezza. [Incredibile come ne parlassi già un lustro fa…allora il problema vero non è la pandemia]
Il mio ottimismo innato, seppur meno puro di un tempo, mi impedisce di abbandonarmi totalmente ai cattivi pensieri. In mezzo allo sconvolgimento planetario, l’estate ha portato con sé anche la morte improvvisa di un preziosissimo collega, mio diretto superiore, presenza costante negli ultimi anni della mia vita lavorativa. Sono trascorsi oltre due mesi e il mio cervello comincia a rendersi conto che no, non è semplicemente partito per le vacanze. No, non ci sarà un tempo in cui ci racconteremo cosa è successo nel frattempo.
Mi rendo conto che ho un po’ più paura del solito in questo periodo, e sono anche un po’ più triste, e preoccupata. Ma quello che mi manca di più di tutto non è davvero la libertà, come magari possono dire in tanti. Non mi pesa oltremisura stare in casa, rinunciare ai luoghi chiusi, a una cena in compagnia, perché so che presto o tardi torneremo a farle queste cose. Anche solo per il tempo di un’estate, ma lo faremo. Quello che mi manca più di tutto e, dato il fatto che ho compiuto quarant’anni ho quasi paura che il suo sia un viaggio irreversibile, ecco, quello che non mi va proprio giù che scompaia è la mia spensieratezza.
E allora mi ci aggrappo. Ne faccio piccoli sacchetti, per inspirarla un po’ e tornare, brevemente, alla vita sperata, quella bella, quella pienamente luminosa.
La mia spensieratezza si rinvigorisce quando lavoro alla spensieratezza di Signorina A, Mademoiselle C, Miss T. Curare le spensieratezze altrui, specie quelle dell’infanzia che son le più belle, ma anche quelle dell’età adulta di un’altra persona, questo sì che fa gonfiare un po’ la propria. Suona strano, ma un po’ funziona, almeno di riflesso, sicuramente se ami tanto quelle persone di cui ti prendi cura in questo modo. Togliere pensieri che a un altro pesano più che a te. Perché si sa che i pensieri cambiano la propria densità a seconda di quali siano le teste in cui si infilano. Condividerli è alleggerirne non solo il peso per qualcuno, ma il peso assoluto, ne sono convinta.
La mia spensieratezza si moltiplica quando mi abbandono alla lettura. Una scena meravigliosamente scritta, una storia che ti trascina, dei posto che ti fan venir voglia di andarci veramente, questo sì che è respirare pensieri leggeri. E Miss T che mi legge un libro che piace a entrambe è una forma sublime di alimentazione della mia spensieratezza, che quasi quasi qualche sacchetto scoppia per la troppa pressione.
Una passeggiata in un bosco, appoggiare i passi uno a uno in salita su per la montagna, aprire lo sguardo e la gabbia toracica in un pianoro soleggiato, sentirsi contenuti immeritatamente nella natura, mi fa riempire sacchetti che sarebbero capaci di soffocare i peggiori lunedì di lavoro.
Una telefonata con la mia mamma, mio papà che risponde per primo e poi me la passa, un link su whatsapp per mostrarsi una nuova borsa che forse sì, dai, si potrebbe comprare, Nocciolina che fa le fusa tenendomi caldi i piedi, una pietanza cucinata e regalata, una visita inattesa, un nuovo progetto forse poco intelligente agli occhi del mondo ma gonfio di nuove e vecchie vitalità, un abbraccio per incoraggiarsi ogni mattina prima di far ripartire la quotidianità, un nomignolo stupido, una battuta mentre si lavora, una puntata nuova dei Simpson dopo pranzo, tutto gonfia di un pochino la mia spensieratezza, soffio dopo soffio. Non sarà più grassa come un tempo, ma c’è, è capace di sospendere la paura, la tristezza, l’ansia. È viva, lotta con me.
Nella bellissima foto di Lucia Lorenzon (instagram @frammentidiunsempre) un esempio di meravigliosa spensieratezza della natura (con lo zampino dell’uomo).
Salviamo il soldato spensieratezza!
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