E così, da oggi, sono di nuovo studentessa. Sono trascorsi 23 anni dalla mia prima immatricolazione ad oggi. A 23 anni ho preso la prima laurea e se la numerologia, la secchionaggine e la salute mi assisteranno, a 23+23 ne avrò una nuova, di cui ho deciso, ad un certo punto preciso della mia vita, di avere bisogno per realizzare una profonda discontinuità professionale. Possiamo anche chiamarlo sogno, se ogni tanto ci va.
Oggi sono ancora ricercatrice universitaria, ma tra due mesi appena smetterò di esserlo, sarò agroecologa presso una piccola società e tra un po’ di tempo ancora sarò maestra, in una parabola esistenziale che spero mi avvicinerà a trovare al mio “posto” nel mondo.
La vita è invariabilmente come uno se la racconta e io me la racconto in un certo modo. Ma è anche come ce la dicono gli altri. C’è chi vede nella mia scelta di abbandonare il mio percorso professionale universitario per fare un salto verso la scuola primaria come:
– un suicidio più o meno consapevole
– un atto di pavidità
– un affronto personale o universale, a seconda dei momenti
– una svolta coraggiosa
– una manifestazione di mancata ambizione
– un gesto avventato
– una scelta antifemminista dopo tante molto femministe
– un atto necessario.
Questa è come la vedo io: i primi responsabili della nostra felicità siamo noi stessi. Non sono particolarmente coraggiosa, né poco ambiziosa, né avventata, né troppo pavida, né poco femminista. Ho una relazione con uno stesso uomo da vent’anni, abito in una stessa città da quarant’uno, una carriera che dura da diciassette e che ho amato per una buona parte del tempo. Ma anche i culi pesanti, i bogianen – come si può pensare sia io-, quelli che sorridono senza disturbare troppo, possono sovvertire un presunto ordine e chiedersi cosa possono fare per vivere una quotidianità a cui chiedere il meglio e non il minimo emotivo. Per svegliarsi felici.
E così ho sostenuto un anno difficile, ho firmato diverse lettere di rinuncia, ho continuato a fare il mio dovere, e intanto ho studiato, ho fatto un test di ammissione con tante ragazze e ragazzi che mi potrebbero essere figli, ho anche pensato che avrei tolto uno dei posti a numero chiuso per prendermi il mio, ma sono andata avanti e oggi mi sono immatricolata. Perché devo ancora lavorare per 25-30 anni e voglio essere serena e orgogliosa del mio contributo, non stare a rimuginare sul non fatto. Assomigliare a chi desidero essere.
Non smetterò di essere agroecologa, né ricercatrice di verità e sapere, è solo che da grande sarò anche qualcos’altro.
(Foto di Dids da Pexels)
Ci si reinventa, ritrova ad ogni età… Complimenti per il coraggio.
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Ti faccio i miei complimenti e tantissimi auguri di successo!
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grazie Neda!
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